Gli imputati rimasti erano ventinove (ventotto comprimari e uno eccellentissimo), stavano sulla scena tribunalesca da oltre sei anni durante i quali avevano visto sommarsi distinguo, rinvii, ricusazioni, impedimenti, acciacchi, ostacoli, corsi e ricorsi politici (corretti o scorretti poco importa), cavilli e qualunque cosa utile a rimandare… Ieri, quegli imputati a cui stampa e televisioni hanno offerto palcoscenici e notorietà, sono stati tutti assolti “perché il fatto non sussiste”. Il “fatto” in questione (rubricato, se interessa, col nome di Ruby-ter), ruotava attorno alle feste e alle cene (presunte) offerte da un Cavaliere eccellente a cui premeva rallegrare gli amici con chiacchiere, musica, barzellette e cibo sopraffino da gustare avendo al fianco leggiadre fanciulle in fiore. Col dispositivo letto dai giudici (Tremolada-Gallina-Pucci) della settima sezione penale di Milano, sono cadute le accuse di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. Giustizia è fatta? Chissà! Secondo i media, che prontamente hanno assalito la notizia spargendola a larghe mani sotto forma di anticipazioni a cui sarebbero seguiti opportuni approfondimenti, l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” era di quelle che non ammettevano tentennamenti; per i soliti nemici del Cavaliere eccellentissimo, invece, quella formula diceva tutto e niente e per capirla, aggiungevano “bisogna leggere attentamente prima il dispositivo e poi le motivazioni”; per la politica e i politicanti la sentenza “restituisce al Cavaliere eccellente la dignità negatagli da giudici schierati e tribunali ingolfati”; per il popolo, spettatore muto di rappresentazioni teatrali che se non fossero tragiche sarebbero facilmente classificabili tal quali a commedie dell’assurdo, è la dimostrazione più evidente che “la giustizia è uguale per tutti” ma anche “più uguale” per qualcuno. Basta così. Infatti, anche volendo e cavillando, c’è assai poco da commentare o da aggiungere. Però…
Però ecco affiorare il dubbio che induce a credere le parole usate per salutare la sentenza parte di un tutto che per essere limpido dovrebbe almeno essere spiegato e rispiegato così da renderlo comprensibile anche alla plebe, che ne ha piene le tasche di verità parziali, di briciole di verità, di verità nebbiose, di mezze verità o di verità solo simili alla verità. Per esempio: che cosa vuol dire l’ordinanza (del novembre 2021) che dichiara “inutilizzabili” i verbali, relativi ad almeno 18 delle giovani chiamate a testimoniare, perché semmai quelle ragazze “andavano già indagate dal marzo 2012 (anno in cui i fatti sarebbero accaduti) e sentite in aula con l’assistenza di avvocati”, cioè con la dovuta garanzia prevista dall’ordinamento? E che senso ha parlare di un fatto che non sussiste adesso se fino a ieri il medesimo fatto ha tenuto in ballo tribunali, giudici e avvocati in misura quanto meno eccessiva se vista con gli occhi della massa che al giudizio si presenta spesso senza spiegamenti di forze tali da impressionare? E cosa lascia intendere il commento del Cavaliere quando asserisce di essere stato “finalmente assolto dopo più di undici anni di sofferenze, di fango e di danni politici incalcolabili, perché ho avuto la fortuna di essere giudicato da Magistrati che hanno saputo mantenersi indipendenti, imparziali e corretti di fronte alle accuse infondate che mi erano state rivolte”, forse che ci sono in circolazione magistrati che non sono indipendenti, che non giudicano stando al di sopra delle parti, che stanno lì ad amministrare una giustizia (forse) uguale per tutti o (forse) più uguale per qualcuno?
Ai posteri l’ardua sentenza! Però…
Però, di nuovo, sarebbe il caso di spiegare al popolo quel che il dispositivo, se letto, manda a dire quando afferma che “le ragazze andavano indagate all’epoca dei fatti”, perché allora “non potevano legittimamente rivestire l’ufficio di testimone” non essendo state assistite da avvocati… Ragion per cui non è pensabile pensarle come “corruttrici in atti giudiziari” e questo perché vien meno “l’ipotizzato corruttore, nel caso di specie Berlusconi”, proprio lii, il Cavaliere eccellentissimo e innominato di cui sopra. Lo ha scritto Fabio Roia, presidente del Tribunale di Milano, in una nota in cui anticipa il cuore delle motivazioni della sentenza di assoluzione per tutti i ventinove imputati del processo Ruby-ter, che i giudici depositeranno solo tra 90 giorni, di cui riferisco dopo aver letto e cercato di comprendere sottigliezze giuridiche e malcelati distinguo.
Sulla base “degli elementi di fatto” che “verranno dettagliatamente illustrati nella motivazione della sentenza, il Tribunale ha accertato – ha scritto Roia in una lunga nota – che le imputate (nominate con apposito cognome/ndr) non potevano legittimamente rivestire l’ufficio pubblico di testimone nei procedimenti” Ruby e Ruby bis “perché sostanzialmente indagate di reato connesso”. Gli indizi “non equivoci a loro carico risultavano dagli atti dei procedimenti in cui le stesse sono state escusse come testimoni”. Questo accertamento, si legge, “sulla qualità soggettiva in capo alle imputate dei reati contestati incide sulla stessa possibilità di configurare sia la falsa testimonianza che la corruzione in atti giudiziari”. La falsa testimonianza, infatti, chiarisce il Tribunale, “può essere commessa solo da chi legittimamente riveste la qualità di testimone”. Andavano, invece, indagate e sentite con la presenza di avvocati e la possibilità di non rispondere. La corruzione in atti giudiziari, poi, “sussiste solo quando il soggetto corrotto sia un pubblico ufficiale”. La Cassazione ha chiarito “che il giudice” deve “verificare se il dichiarante che si assume essere stato corrotto sia stato o meno correttamente qualificato come testimone”. E poiché “le persone chiamate a rendere dichiarazioni nei processi” andavano “correttamente qualificate come indagate di reato connesso e non testimoni, non solo non è configurabile il delitto di falsa testimonianza ma neppure il reato di corruzione in atti giudiziari, mancando la qualità di pubblico ufficiale (nella specie: testimone) in capo al ‘corrotto'”. Così l’elemento “costitutivo del delitto corruttivo” non “può sussistere nemmeno nei confronti dell’ipotizzato corruttore, nel caso di specie Berlusconi”. Infatti, la “corruzione in atti giudiziari presuppone necessariamente un accordo tra il pubblico ufficiale corrotto e il corruttore”.
Tutto chiaro? Personalmente resto nel dubbio di essere tra coloro che non hanno capito nulla, quasi nulla o poco. Però, non faccio testo. Fra novanta giorni leggerà la sentenza e metterò fine ai miei dubbi. Per adesso, “giustizia è fatta”. Oppure, come dice il solito cafone del fondo sala, “soltanto sfatta?”.
LUCIANO COSTA