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Il folle zar ordina il ritiro: vero o falso?

Dicono oggi le cronache che la Russia di Putin ritira le sue truppe da una città ucraina – Kherson – ritenuta fino a ieri strategica nel quadro della sua offensiva. I quotidiani riassumono la guerra in corso da ormai duecentosessanta giorni come evento “forse alla svolta”, di sicuro o quasi certo che assomiglia alla “grande ritirata”. Pur restando timidamente orientati a pensare che la Ragione avrà il sopravvento, resta evidente che lo scempio è stato compiuto, che il folle zar ha calpestato i diritti di una Nazione colpevole di essere confinante e non in sintonia con le sue idee di territorio russo, che l’Europa Unita non è venuta meno, non ostante il tentennamento di qualche Stato, al dovere di aiutare e sorreggere e difendere il diritto dell’Ucraina a rimanere Nazione libera e indipendente. Oggi, se le truppe russe davvero se ne andranno da quel lembo di territorio, prefigurando così che questo sia il primo passo per un ritiro globale che consenta di stabilire un tavolo della pace finalmente vero e credibile, potrebbe incominciare una nuova storia. Certo, l’operazione di ripiego non è stata ancora completata e da parte dei vertici militari dell’Ucraina, Paese invaso, rimane cautela sulle mosse degli aggressori, che potrebbero risultare motivate da una reale debolezza ma anche essere il frutto di una tattica per minimizzare le perdite e attirare il nemico in una trappola. Dalla Russia giungono notizie che ammettono come la decisione non sia stata facile e neppure indolore. Un generale ha apertamente detto che “così salveremo la vita dei nostri militari”. L’analisi degli osservatori occidentali sottolinea invece che in tal modo la Russia cerca “di indorare la pillola di quella che appare una sua sconfitta bruciante”. Qualcuno però, abituato ai voltafaccia di Putin, non nasconde lo scetticismo. “Potrebbe semplicemente essere una finta, un altro calcio alla Ragione e uno schiaffo al mondo che vuole la Pace”.

La città di Kherson, sulla quale adesso converge lo sguardo del mondo che sogna la Pace, prima della guerra era un importante centro industriale e culturale di 380mila abitanti. Ancora adesso la città dispone di un porto fluviale che rappresenta uno sbocco chiave per il trasporto del grano verso il vicino Mar Nero. È inoltre sede di un grande cantiere navale. Poi, soprattutto per la sua collocazione geografica, Kherson è la porta strategica verso la Crimea e il “rubinetto” dell’acqua per la penisola occupata da Mosca. Tutto questo la rende tutt’ora “regione appetibile” e quindi esposta a possibili ripensamenti. Non a caso gli analisti sottolineano punti critici che non rendono lo scenario così semplice. Il primo è che i russi in ritirata hanno disseminato il fronte di mine e trappole esplosive. Il secondo è che Mosca, dopo aver ritirato le sue truppe sulla riva orientale – e aver “evacuato”, a volte con la forza, un gran numero di civili – sarà ora tentata di bombardare Kherson a tappeto. Infine, lo schema che emerge in questa guerra è che ogni volta che la Russia subisce un’importante battuta d’arresto militare risponde colpendo ulteriormente la popolazione civile, come è tragicamente accaduto dopo le recenti azioni di Kiev in Crimea. Resta la speranza di imminenti colloqui di Pace, di un incontro tra il presidente ucraino e quello russo, per altri fortemente auspicato e sollecitato dagli Stati Uniti d’America che vuole, e Biden lo ha fatto sapere anche in questi giorni elettorali, “si provi a intavolare a livello diplomatico una via d’uscita dalla crisi”. Senza farsi illusioni. Infatti “prima si tratterà di vedere quali saranno le prossime scelte delle due parti in una fase fluida e difficile da decifrare sul piano bellico e politico”.

Non ci sono dubbi invece sul malcontento che esiste tra le file dell’armata russa al fronte. È drammatica, infatti, la lettera scritta da alcuni soldati a un governatore regionale accusando apertamente il generale Rustam Muradov di averli mandati a combattere una «battaglia senza senso» nella regione di Donetsk. Gli autori della missiva sono gli uomini della 155esima brigata della flotta russa del Pacifico. Militari di professione, che hanno indirizzato a loro protesta a Oleg Kozhemyako, governatore del Primorsky Krai, remota regione dell’estremo oriente russo, confinante con la Cina e che si affaccia sul Mar del Giappone. Uomini spediti a combattere a decine di migliaia di chilometri da casa, in un territorio che non conoscono, dove hanno visto morire decine di loro compagni. «Come risultato dell’offensiva – si legge nella lettera – abbiamo perso 300 uomini in 4 giorni, e il 50% del nostro equipaggiamento. E questa – aggiungono – è solo la realtà che tocca nostra brigata sebbene chi la comanda stia nascondendo questi fatti e distorcendo le statistiche ufficiali sulle vittime per paura di essere ritenuti responsabili». La lettera è stata pubblicata prima su diversi canali Telegram frequentati da militari, veterani e giornalisti di guerra russi, poi ha fatto il giro del mondo suscitando sdegno e nuovi inviti a mettere fine all’assurda guerra russa di invasione. Secondo l’Ucraina, la Russia in questo momento avrebbe perso almeno 77mila uomini. A questi vanno aggiunti i dispersi, i feriti gravi e i mutilati. Solo nelle ultime 24 ore le perdite sarebbero 710. Militari di leva ma, da qualche settimana, anche i reclutati della mobilitazione parziale, quella che ha coinvolto “i condannati ospiti delle prigioni russe, mandati allo sbaraglio senza preavviso, per fare numero e muro” e che non risparmia neppure i giovanissimi, “innocenti ai quali è imposta la lezione di guerra”.

Dopo quasi nove mesi di guerra è adesso di far nascere la Pace. Ce la farà il mondo libero e moderno a obbligare il folle zar a intendere che deve smetterla di aggredire, bombardare e minacciare una Nazione che vuole essere libera? Che vuole la Pace e non la guerra?

LUCIANO COSTA

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