Il miracolo (civile) che viene dalle piante

I leader di tutto il mondo (di persona all’inizio e poi rappresentati dai lor ministri, addetti e tecnici) sono riuniti fino al prossimo 12 novembre a Glasgow per la Conferenza voluta dall’ONU sui cambiamenti climatici e che è conosciuta col nome di COP26. La conferenza, tra mille difficoltà ma anche tra incredibili passi da gigante sulla strada del ripensamento globale sulle risorse e sull’utilizzo della terra, vuole accelerare l’azione verso gli obiettivi contenuti nell’Accordo di Parigi, noto come COP21, un punto di partenza che a distanza di anni cerca ancora conferme. Siamo in piena emergenza e non mancano visioni a dir poco catastrofiche, Il climatologo professor Ramanathan alla vigilia della Conferenza ha affermato che “il grido della terra e il grido dei poveri sono ormai diventati il grido di tutti, dal momento che il riscaldamento globale ha scatenato la distruzione del sistema climatico mondiale”.

L’altro ieri però, improvviso ma provvido, s’è fatto strada un “miracolo” semplicemente civile: alcuni facoltosi privati hanno messo a disposizione della lotta contro gli sprechi e la depravazione della terra parecchi miliardi di dollari, mettendo in chiaro che il loro era un libero contributo, forse una briciola rispetto al trilione di dollari ipotizzato come assoluta necessità per tentare di ridare fiato alla natura e vita all’umanità, ma comunque un invito rivolto alla massa di chi può e che potendo deve farsi carico del bene comune.

Per esempio, la grande finanza, quella che maneggia cifre e ricchezze da capogiro, ha assicurato la sua partecipazione attiva a ogni iniziativa mirata alla salvaguardia del pianeta terra. La Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFanz) ha infatti reso noto alla Cop26 che gli attori finanziari globali che rappresenta (circa il 40%) disinvestiranno dall’energia fossile e sposteranno gli interessi finanziari su obiettivi puliti e compatibili con la salvaguardia del creato. Dal canto suo, la presidenza britannica della Cop26 ha annunciato che “la fine del carbone è in vista” e anche che 190 paesi ed organizzazioni hanno aderito all’obiettivo di abbandonare l’energia fossile.

Non meno importante è l’accordo sugli alberi da piantare – miliardi di piante da mettere a dimora per ridare fiato all’atmosfera – e sul blocco delle attività di deforestazione. Il tutto è contenuto nella dichiarazione congiunta, che assume valore storico, relativa all’impegno per la salvaguardia, entro il 2030, del patrimonio boschivo mondiale oggi oggetto di sfruttamento indiscriminato. Oltre cento leader del mondo, che guidano i Paesi ospitanti circa l’86% delle foreste del globo, si sono impegnati infatti a stroncare la deforestazione mettendo sul tavolo impegni finanziari, anche privati, per un ammontare di 19,2 miliardi di euro.

Tra i firmatari anche Brasile, Russia, Cina, Colombia, Indonesia, Australia, Costa Rica. L’Unione europea si è impegnata per un miliardo di euro e in più ha promesso un regolamento adatto ad affrontare la deforestazione; il presidente americano, Joe Biden, ha annunciato che chiederà al Congresso di stanziare nove miliardi di dollari entro il 2030. Il premier britannico Boris Johnson ha definito l’accordo sulla deforestazione fondamentale per l’obiettivo generale di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi. L’impegno firmato a Glasgow prevede anche la piantumazione di almeno mille miliardi di nuovi alberi, sempre entro il 2030, fondamentali per assorbire l’anidride carbonica, e per fermare il cambiamento climatico.

Soddisfazione ma anche cautela dagli osservatori presenti a Glasgow. Federica Bietta, Direttore Generale della Coalition for Rainforest, organizzazione non governativa impegnata al fianco di governi, comunità e popoli tropicali per gestire responsabilmente le loro foreste pluviali, ha detto che “ogni dichiarazione che porta le foreste in primo piano dopo l’oblio di questi anni in cui si è creduto che la tecnologia salvasse il mondo è sempre benvenuta. Ma se è sufficiente, non lo so”.

Però, la dichiarazione rappresenta almeno un punto di partenza. “Abbiamo calcolato – ha spiegato Federica Bietta – che ci vorranno più di 100 miliardi di dollari annui per ridurre, nei prossimi dieci anni, la deforestazione globale. Stiamo parlando di un trilione di dollari…”, una cifra enorme ma non impossibile. Dall’ammontare dei fondi sicuri dipende il futuro della gente che vive di foreste. “E’ importante capire – dice l’esperta – che questa gente non taglia la foresta per suo piacere, ma perché c’ è un valore economico. E al momento questo valore è perverso. Per cambiare è necessario offrire alla gente un’alternativa. Vale a dire un reddito credibile che li spinga a mantenerle in vita”.

Quanto all’importanza delle foreste, in particolare di quelle tropicali, lo ha spiegato e rispiegato Federica Bietta dicendo che “queste foreste riescono a trattenere un terzo del carbonio esistente. Dunque, serve fermare la deforestazione e piantarne delle altre. In più queste foreste tropicali, diversamente da quanto accade in occidente, dove perdendo le foglie perdono capacità di trattenere anidride carbonica, per tutto l’anno mantengono intatte le loro capacità di salvaguardare l’aria che respiriamo”.

Se non fosse irriguardoso, sarebbe il caso di dire “piantiamo piante, gente, piantiamo piante, che altrimenti finisce davvero male”.

LUCIANO COSTA

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