Nella dichiarazione finale i Capi di Stato e di governo riuniti a Bali per il G20 concluso ieri, hanno ribadito il no alla guerra e all’uso di armi atomiche, condannato la Russia ed invitato a garantire le consegne di grano, di prodotti alimentari e fertilizzanti provenienti dall’Ucraina e dalla Federazione Russa al mondo, rilanciando la collaborazione tra gli Stati. Pur immersi nelle preoccupazioni suscitate dalla caduta di razzi in territorio polacco – sarebbero stati lanciati dall’Ucraina per contrastare quelli lanciati dalla Russia, quindi un errore non voluto -, i partecipanti al G20 hanno ribadito che “l’attuale fase storica non deve essere di guerra” condannando “il ricorso alla guerra e l’uso di armi atomiche”. È fondamentale, si legge nella dichiarazione finale “sostenere il diritto internazionale e il sistema multilaterale a salvaguardia della pace e della stabilità internazionale. Altrettanto importante è la ricerca di una soluzione pacifica dei conflitti”. Nel documento, tuttavia, si afferma che esistono punti di vista e valutazioni diverse della situazione e delle sanzioni.
Mentre a Bali, Indonesia, veniva siglato il documento che da qui in avanti regolerà i rapporti tra gli Stati per ciò che riguarda energia, gas, grano, armi, aiuti, accoglienza migranti e loro collocazione, a Roma il Ministro dell’Interno spiegava alle Camere dove e come la presenza delle Ong e delle loro navi salvataggio sul fronte dei migranti in balia delle onde, era deleteria e, addirittura, “esercitata senza rispetto delle norme in vigore”. Secondo Il ministro Piantedosi “la presenza delle navi delle Ong fa aumentare gli sbarchi sulle coste italiane” e rappresentano “un fattore di attrazione”. Ragion per cui, se ho ben inteso il senso dell’informativa presentata dal ministro, i disperati si consegnerebbero agli umori del mare su barche a dir poco ridicole, essendo evidente che al largo qualcuno li aiuterà. Secondo l’osservatorio dei diritti umani, però “è vero l’esatto contrario”. Infatti, da quando le Ong sono state bloccate dal ministro dell’Interno, gli immigrati sbarcati sono quasi raddoppiati. Lo rivelano proprio i dati ufficiali di Viminale, contenuti nel cosiddetto “cruscotto giornaliero”. Secondo il ministro Piantedosi dall’1 gennaio 2021 al 9 novembre 2022 le Ong hanno portato sulle coste italiane 21.046 migranti, di cui 9.956 nel 2021 e 11.090 nel 2022. Vero! “Ma per il 2021 – dicono le Ong – rappresentano il 14% del totale degli sbarchi e per il 2022 l’11%. Dunque addirittura un calo, mentre cresce il totale degli sbarchi. Ma sono sbarchi autonomi o soccorsi da Guardia costiera, Guardia di Finanza e navi mercantili di varie nazionalità. Anche questi sono dati ufficiali del Ministero”.
Un’ulteriore conferma della instabilità dei dati forniti arriva dall’ultimo rapporto di Frontex. “Nei primi dieci mesi del 2022 – si legge nel rapporto – gli arrivi di immigrati rilevati ai confini esterni dell’Ue sono stati circa 275.500, in aumento del 73% rispetto ai primi dieci mesi del 2021. La rotta più attiva è quella dei Balcani Occidentali, dove si sono registrati 128.438 attraversamenti, in aumento del 168%. Una rotta terrestre, dove, ovviamente, non ci sono le Ong. E un fortissimo aumento ha avuto anche la rotta del Mediterraneo Orientale (dalla Turchia o dalla Libia orientale), con 35.343 arrivi (+122%). E anche qui non operano le Ong, ma solo le imbarcazioni della Guardia costiera e della Gdf. Mentre la rotta del Mediterraneo Centrale, quella che porta a Lampedusa e dove operano le Ong, pur essendo la seconda in numero assoluto con 79.140 rilevamenti è cresciuta “solo” del 48%”.
Ma, alla fine, dove finiscono tutti questi immigrati? Come confermato anche per gli ultimi sbarchi in Calabria dalla rotta turca (ma anche per quelli in Puglia), gran parte delle persone, soprattutto afghani, curdi, siriani, non fanno domanda d’asilo e accettano tranquillamente il decreto di respingimento, anche se avrebbero sicuramente diritto alla protezione internazionale, perché vengono da Paesi in guerra o dove dominano violenza e persecuzione. Ma non vogliono restare in Italia. Per loro è solo luogo di sbarco e di transito per poi raggiungere il Nord Europa, soprattutto attraverso il confine italo-francese. Un percorso in aumento mentre non si è ancora esaurita la polemica tra Francia e Italia sui porti sicuri da aprire alle navi di soccorso, qualunque sia la loro provenienza e la loro appartenenza.
Servirebbero meno parole e più umanità.
LUCIANO COSTA