Leggo quel che Antonio Salvati scrive presentando un saggio sulla globalizzazione e la guerra. C’ è materia per riflettere. E converrà non sottrarsi all’impegno se davvero si vuole, tutti insieme, respirare pace. L’invito a leggere è esplicito, quello a meditare e riflettere viene di conseguenza. Nella riflessione e nella meditazione c’è infatti lo spazio per vedere sorgere la pace. “Perché la guerra – come sosteneva Péguy – si sconfigge prima di tutto nel cuore dell’uomo, dando al suo cuore ciò che sommamente desidera”. (l. c.)
LA GUERRA IN UCRAINA ha fermato definitivamente la globalizzazione. Ha rappresentato una nuova svolta storica che chiude la fase iniziata con la caduta del Muro di Berlino. In quel periodo credemmo che la democrazia sarebbe stato il risultato dell’apertura del commercio. La democrazia liberale fondata sull’economia di mercato era considerata l’unico modello possibile: il mondo sarebbe così approdato alla “pax capitalistica” in cui gli Stati non avrebbero più avuto interesse a farsi la guerra. Ma la nota tesi di Friedman secondo la quale «due Paesi che hanno entrambi un McDonald’s non si sono mai combattuti», si dimostrò presto falsa e fuorviante anche se molta dell’interconnessione forgiata durante questi 30 anni proseguirà. Inizia a venir meno l’incondizionata fiducia che il sistema sia capace di produrre da solo pace e stabilità. Il “nuovo ordine mondiale”, promesso all’inizio degli anni Novanta e a cavallo del Millennio, in realtà non si è mai realizzato. L’Occidente ha progressivamente perso peso fino a diventare meno rilevante. Tale irrilevanza ha favorito il rinascere del populismo nazionalista in Europa i cui sintomi generali sono paura e debolezza: si erigono muri, ci si isola e ci si lamenta della perdita di potere e prestigio.
Conseguentemente ritornano vecchie ricette, già fallite e pericolose, che ottengono solo una crescita della tensione generale che diverrà prima o poi un boomerang. Tutto pare lecito per timore del declino e, com’è noto, la paura fa nascere mostri. Parte da queste premesse l’ultimo saggio di Mario Giro (Trame di guerra e intrecci di pace. Il presente tra pandemia e deglobalizzazione) già viceministro degli Esteri e conoscitore come pochi delle questioni internazionali in generale e africane in particolare. Il saggio prende le mosse dall’analisi della terribile guerra in Ucraina, che si ripercuote sul resto del mondo, con effetti gravissimi sugli approvvigionamenti alimentari in Africa e su quelli energetici, da cui l’Europa dipende.
MARIO GIRO SPIEGA quanto l’Occidente «non ha saputo ricreare quella comunicazione che era usuale al tempo dell’Unione Sovietica; gli scambi di merci non hanno potuto compensare la mancanza di dialogo politico». Forte dell’esperienza maturata con la Comunità di Sant’Egidio con il ruolo di mediatore in diversi conflitti del recente passato, si dice convinto «che le guerre non risolvono i contrasti o le crisi internazionali come hanno insegnato innumerevoli precedenti”. Quindi, sostiene con convinzione “occorre più che mai la trattativa, la mediazione e la pacatezza di giudizio; morte e distruzione non cesseranno senza negoziati e concessioni, purtroppo gravose”.
Emerge dalla lettura che una delle caratteristiche delle guerre e delle crisi acute è «quella di occupare tutti gli spazi di riflessione, devitalizzandoli e cercando di rendere il discorso sul futuro irrilevante. Infatti, quando scoppia una guerra il pensiero si paralizza e tutti polemizzano su chi abbia torto e chi ragione. Tale è il metodo mimetico della guerra: “Distogliere l’attenzione da sé per portarla sui combattenti e sulle loro ragioni…”. E’ questo l’ingranaggio micidiale: mantenere un mondo sempre in guerra, scosso da scontri, crisi o almeno contrapposizioni, così da consentire a qualcuno di arricchirsi, di accrescere il suo dominio… Il modello Putin, in questo caso è lì a dimostrare come sia possibile invadere una nazione pacifica pretendendo di presentare l’azione come difesa da chissà quali minacce internazionali.
Poi, quando si è in guerra le scelte sono ridotte all’osso: combattere o perire. La guerra deturpa l’anima dei popoli che la fanno o la subiscono, anche di quelli che si difendono. La storia insegna che i Paesi che vi sono trascinati ne escono deteriorati, inaspriti, regrediti, degenerati. “La guerra è sempre fratricida, nemica della vita umana, di ogni essere vivente e della natura” dicono i cristiani disseminati in Europa e nel mondo. E c’è anche chi pensa, riferisce Mario Giro, che “conviene, comunque, convivere con la Russia, una condizione che non la si ottiene in stato di perenne conflitto, ma solo in pace”. Ogni escalation nelle iniziative militari (con consegne di aerei da guerra oltre che di armi sempre più pesanti e di lunga gittata), può fatalmente far scivolare la contesa su una china pericolosissima, che nessuno a parole vuole ma che di fatto viene regolarmente e pericolosamente affrontata.
Resta il fatto che comunque e in ogni caso “si arriverà a un negoziato”, ma serve giungerci prima possibile, per abbreviare le sofferenze dei civili e affinché non divenga una resa incondizionata. “Una trattiva di questo tipo, però – avverte lo studioso – è sempre penosa: si devono fare concessioni anche su ciò che prima sembrava inaccettabile”. La guerra, infatti “è sempre una scelta politica dei leader che può essere invertita. È ciò che si spera possa accadere anche per l’Ucraina. Il conflitto tira fuori il peggio da ciascuno e non esiste “il mito della guerra pulita, zero morti, senza danni collaterali ai civili. La malvagità perversa della guerra non risparmia nessuno e finisce per coprire tutti gli eccessi. Non esistono regole in guerra. Se la guerra continua l’Ucraina potrebbe essere distrutta al punto di divenire uno Stato non sostenibile, come nel caso della Siria».
Vi sono innumerevoli esempi di come nessuna sconfitta militare sia mai definitiva e quanto le “guerre del risentimento” (come le chiama Domenico Quirico) siano un ciclo infernale senza fine. Tuttavia, la loro iniziativa è disperata e senza appoggi esterni. Come dimostrano i colpi di stato e i conflitti in corso in Africa che dimostrano quanto le élite democratiche, succedutesi dalla fine degli anni Novanta a oggi, hanno sostanzialmente fallito e vengono rimpiazzate dai militari che rappresentano forse l’unico ceto sociale dotato di coesione interna. Una volta i putsch – ricorda Giro – erano coordinati con le ex potenze coloniali e con i due protagonisti della Guerra Fredda, mentre «oggi tutto avviene in maniera autonoma e un po’ anarchica se non si conta la retorica anti-neocoloniale. Le emozioni delle masse africane sono dirette contro l’Europa (soprattutto contro la Francia) che non ha saputo difenderle, pur approfittandosi delle ricchezze nazionali. Per cui si assiste al paradosso di popolazioni che manifestano contro reparti militari europei venuti a proteggerle dai jihadisti”.
IL LIBRO DI MARIO GIRO è una preziosa bussola per i nostri tempi. Ci configura futuri scenari geopolitici complicati dal fatto che – davanti all’emergenza pandemica e alla guerra – il multilateralismo ha subito un arresto proprio quando sembrava più indispensabile e di fronte a questioni sempre più globali. «Gli Stati hanno preferito andare in ordine sparso senza la necessaria solidarietà globale». Non tutti, tuttavia, si rassegnano. Proprio dal punto di vista del diritto internazionale, sul fronte delle migrazioni la società civile globale sta difendendo l’ultimo frammento di multilateralismo ancora oggi operante, come dimostra l’attuazione dei corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio con la collaborazione delle chiese protestanti e cattolica e di altre associazioni. La politica europea deve assumersi la responsabilità di una nuova epoca della distensione e della convivenza. Il mondo ha bisogno di un’Europa che conti nelle crisi internazionali e nella costruzione di un nuovo multilateralismo efficace e funzionante.
ANTONIO SALVATI