Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che tutti vorremmo restasse al suo posto anche quando, fra otto mesi, la prassi costituzionale imporrà il suo avvicendamento, è venuto l’altro ieri a Brescia onorando così l’impegno che aveva preso quando, tirato per il bavero da chi s’era offeso per averlo visto a Bergamo, aveva detto che Brescia non sarebbe stata dimenticata. Al di là dell’enfasi di qualcuno, nulla impediva al Presidente di procrastinare la visita, magari a quando sarebbe stato possibile accompagnarlo tra vie e piazze finalmente popolate di gente. Ma lui è venuto per portare la sua solidarietà e dire all’Italia che “è tempo di ricominciare”. Basta questo per dire, a due giorni di distanza, che la visita del Presidente (sobria, breve, addirittura troppo breve, purtroppo stretta tra i legacci del protocollo e gli obblighi di sicurezza) ha rinnovato e rinforzato la speranza di giorni migliori.
Vedendo il Presidente portato di qua e di là ubbidendo alle tre logiche – cultura, bellezza, salute – a cui la pubblicistica dava risalto, ho immaginato quanto gli sarebbe piaciuto uscire dai canoni ufficiali per avventurarsi tra le pieghe di una storia che spesso ha intrecciato la sua e portare un fiore sulla tomba di amici andati avanti, per perdersi tra la gente laboriosa, per dedicarsi all’ascolto dei sindaci, per dare sostanza all’incontro e al confronto, magari anche per sedersi nell’ultimo banco di una qualsiasi chiesa e intonare con gli occasionali fedeli il canto di ringraziamento e di supplica… Invece, tutto è avvenuto secondo cerimoniale, dentro la rigorosa ufficialità che nulla concede al caso, neppure che le mani protese oltre le transenne da due anziani coniugi potessero incrociare quella del Presidente che in quel momento passava proprio accanto a loro.
A Brescia, città Leonessa d’Italia, il Presidente Mattarella ha ribadito che “questo è il tempo di pensare al futuro, di progettare e realizzarlo insieme, perché questa è la condizione per poterlo fare con efficacia, in una drammatica emergenza. Insieme, che non vuol dire abbandonare le proprie prospettive, idee e opinioni ma di offrirle al confronto piuttosto che agitarle come motivi di contrapposizione insuperabile”.
Dopo Brescia, rispondendo alle domande dei bambini di una scuola romana, il Presidente ha mandato un segnale ben preciso a chi crede di poter ancora ipotizzare per lui un secondo mandato. Con sincerità assoluta, impedendo alle emozioni di avere il sopravvento, Sergio Mattarella ha ribadito con pacata saggezza che allo scadere del mandato “io che sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”.
Ai ragazzi che l’ascoltavano Mattarella ha anche spiegato che “quando mi è stato chiesto se ero disposto a essere eletto presidente della Repubblica, mi sono preoccupato perché conoscevo quanto sia impegnativo e faticoso il compito del presidente. Ma ci sono due cose che aiutano: ho chiamato intorno a me dei collaboratori molto bravi che mi aiutano a decidere in modo tempestivo e appropriato. Poi in Italia in base alla nostra Costituzione non c’è un solo organo che decide ma tanti organi diversi, le decisioni sono distribuite tra tante persone”. Quindi, “le decisioni che toccano la vita dei cittadini le prende il Governo e il Presidente le conferma. Però, il Presidente della Repubblica deve conoscere tutto, seguire tutte le decisioni degli altri per poter eventualmente intervenire con dei suggerimenti. L’attività è impegnativa, ma tra otto mesi il mio incarico termina”.
Commentare adesso quel che deve accadere è azzardato. Personalmente vedrei benissimo Mattarella ancora al suo posto con Draghi a dirigere il Governo impegnato ad attualizzare le riforme necessarie per consentire al Paese di stare a testa alta in Europa e nel mondo.
LUCIANO COSTA