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Il terremoto, la guerra e il Sanremo che continua…

Jena, nome d’arte, nel quotidiano angolo che il quotidiano di Torno “La Stampa” gli riserva ha scritto ieri quattro righe (non un vero e proprio epitaffio, solo un pensiero urticante) che valgono per oggi e domani, ma volendo anche per ieri e l’altro ieri. Dice Jena: “Migliaia di morti in Turchia, la guerra in Ucraina, ma la vita va avanti. Come Sanremo”. Se ai morti in Turchia aggiungete i morti in Siria (secondo i dati del mattino sono ormai quasi sedicimila, destinati a aumentare quando sarà possibile raggiungere villaggi e paesi disseminati tra colline e pianure dei due Stati) e alla guerra in Ucraina (guerra d’invasione che la Russia porta avanti bombardando e seminando morte e distruzione da 248 giorni in spregio assoluto di qualsiasi discorso di pace) le altre sedici o ventidue guerre in corso nel mondo, lasciando invariata la conclusione si ottiene la raffigurazione esatta del mondo che ci circonda, un mondo in cui la vita continua e dove, tra le pieghe del quotidiano s’annida un “sanremo” che continua nonostante qui e là debba contare guerre e terremoti…

Si potrebbe dire che “ognuno ha il Sanremo che si merita”. Però, senza offesa per quel becero celodurista che se l’è presa con Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, andato a Sanremo per mettere nel vecchio festival della canzone la sublime e sempre giovane pagina della Costituzione Italiana (“la più bella che ci sia” ha detto Roberto Benigni alla platea e al mondo collegato), il Sanremo del primo giorno di festival merita rispetto, tanto rispetto, tutto il rispetto che piccoli politicanti senza arte né parte non gli hanno dato e neppure gli daranno. Infatti, essendo costoro convinti assertori del nulla, nulla sanno, sanno di nulla e rifiutano di sapere… Però, passano vociando, e ostentando sicumera che non possiedono, arzigogolano indisturbati sui valori più alti, tutti quelli che la nostra Costituzione racchiude in sé, tutti quelli che ci permettono di abitare il mondo, tutti quelli che mettono al vertice dell’umana esistenza la “pacifica convivenza”, che per loro (se non tutti di sicuro tanti) è roba per buonisti in libera uscita e non per celoduristi o nostalgici in tutt’alte faccende affaccendati, che se ne fregano e fregandosene procedono forse verso il “bel sol dell’avvenire” o forse dove immaginano non esista un cartellone su cui un saggio qualsiasi, magari l’ultimo del reame, scrivendo che “l’imbecillità fa parte del paesaggio” ha incluso anche loro.

Sanremo continua. E già fa i conti con quel tal Signore che doveva portare tra i fiori del festival le parole della sua Ucraina, nazione martoriata dalla guerra a cui l’invasore russo la costringe da 248 giorni. Si chiama Zelensky quel signore ed è il Presidente dell’Ucraina. Senza il baccano provocato dai troppi interessi politici di parte, Zelensky avrebbe mandato a Sanremo un video per raccontare il dramma del suo popolo e magari rendere viva quella ricerca di pace che invece tanti vorrebbero morta e sepolta. Invece, la sua presenza sarà riassunta in un foglio scritto che il conduttore di turno leggerà e che i presenti e i collegati via etere, ne sono sicuro, applaudiranno. Perché questa e non altra sia stata la soluzione prescelta non lo so, non lo sapevo ieri e ancora meno lo so adesso, cioè dopo aver visto Zelensky arrivare in Inghilterra (dove ha parlato davanti al Parlamento riunito ed è stato ricevuto da re Carlo), approdare in Francia (a colloquio col Presidente Macron e con il Cancelliere tedesco Scholtz appositamente arrivato fin lì) e spostarsi stamani a Bruxelles per partecipare al vertice europeo dove, finalmente, ci sarà anche l’Italia (rappresentata dal suo Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni).

Ha scritto Jena: “Se Zelensky fosse intelligente manderebbe a Sanremo un testo di Fabrizio De André, per esempio La guerra di Piero”. Mi è difficilissimo, quasi impossibile, pensare che il conduttore del festival osi proporlo. Però, chissà, non si sa mai se e come l’imponderabile diventi ponderabile. In ogni caso, sfacciatamente, ve lo anticipo qui il testo che Zelensky, senza neppure pagar pegno, potrebbe regalare al festival, agli italiani e al mondo mettendo nella “guerra di Piero” la guerra che tutti i suoi Pieri e i Pieri dell’altro mondo stanno subendo e in vario modo combattendo in nome e per conto della libertà… Mia, vostra, di tutti e di ciascuno.

Dice la canzone:

Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma son mille papaveri rossi

Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente

Così dicevi ed era d’inverno
E come gli altri verso l’inferno
Te ne vai triste come chi deve
Il vento ti sputa in faccia la neve

Fermati Piero, fermati adesso
Lascia che il vento ti passi un po’ addosso
Dei morti in battaglia ti porti la voce
Chi diede la vita ebbe in cambio una croce

Ma tu non lo udisti e il tempo passava
Con le stagioni a passo di giava
Ed arrivasti a varcar la frontiera
In un bel giorno di primavera

E mentre marciavi con l’anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore

Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue

E se gli sparo in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore

E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l’artiglieria
Non ti ricambia la cortesia

Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chiedere perdono per ogni peccato

Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato un ritorno

Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio
Ninetta bella, dritto all’inferno
Avrei preferito andarci in inverno

E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi il fucile
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole

Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi

 

Se accostare la guerra di Piero alla guerra di Ucraina v’è parso irriverente, scusatemi. Ma sappiate che resto convinto della sua validità.

LUCIANO COSTA

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