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Il vecchio Prodi mette in campo idee giovani…

Romano Prodi, proprio lui, l’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea, bolognese chiamato a più riprese in campo per sanare situazioni e rilanciare l’idea di un’Italia capace di guidare lo sviluppo e formare orizzonti di pace, senza partecipare ai vari dibattiti sull’essere e il divenite del vecchio Partito Democratico (diverso dal suo, che era quello dell’Ulivo) è tornato a dire la sua rispondendo alle sollecitazioni dei media Vaticani. L’occasione l’ha fornita l’udienza che papa Francesco gli aveva concesso, durante la quale erano stati toccati i grandi problemi sul tappeto: guerra in Ucraina, necessità di un dialogo Cina-Usa, sviluppo di Africa e Mediterraneo, unità europea, il ruolo del Pontefice nello scenario globale ma anche il sogno di una rete di atenei che coinvolgano Europa, Africa e Medio Oriente per dare consistenza alla ricerca di una possibile e globale convivenza pacifica.

Con i media vaticani Prodi ha parlato di Ucraina esprimendo la delusione per i negoziati mai realizzati “tra i due giganti” che potevano far finire la guerra già da febbraio scorso, come pure la certezza che in Africa uno sviluppo è possibile e il continente può diventare “il centro del mondo”. Poi, anche del suo “sogno” personale, che racchiude il progetto di una trentina di università che uniscano studenti e professori di Europa, Africa, Medio Oriente per scambiarsi esperienze e conoscenze: “Quando noi avremo 500 mila ragazzi che hanno studiato insieme, la pace nel Mediterraneo è fatta! Mi sono fatto i conti: istituire sei università costa meno di un incrociatore”.

L’analisi di Prodi ha riguardato il ruolo del Papa e della Santa Sede nel processo di pace in Ucraina. “Un ruolo complicato – ha detto – perché c’è veramente una rottura del mondo… I politologi dicono che è il grande West contro tutti, cioè l’attenzione è diventata a blocchi e mi fa ritornare alla definizione del Papa di una terza guerra mondiale a pezzi. Un altissimo vertice potrebbe essere la soluzione, dal momento… L’auspicio e l’azione della Santa Sede non hanno avuto finora esito… Speriamo in futuro perché le vittime sono innumerevoli e i danni tragici. Ma soprattutto si è creato un clima di tale odio, di tale tensione, che sarà più facile la ricostruzione materiale che non la ricomposizione morale e etica di tutta quella zona”.

La speranza espressa dall’ex presidente del Consiglio è di un dialogo tra Cina e Stati Uniti: “Solo cinesi e americani possono fare finire la guerra… È la stessa speranza iniziale, ma che dopo undici mesi non ha ancora trovato realizzazione… Il fronte è sostanzialmente fermo, ognuna delle due parti pensa di vincere e di distruggere l’altra parte. È come la guerra di trincea, a questo punto dev’essere molto chiaro che il ricorso alle grandi potenze è assolutamente indispensabile”.

La difficoltà a tornare ai negoziati e persino a parlare di negoziati, secondo Prodi, è data dalla “perdita di potere” negli anni degli organismi internazionali: “Avete visto che l’Onu in queste controversie ha avuto un ruolo solo marginale o inesistente? Anche l’Unione Europea ha perso, anzi, non ha mai avuto un ruolo internazionale in questo senso. È stato un importante esempio di coesione, di pace, di costruzione di un mercato comune, ma del punto di vista della politica estera o anche militare, l’Europa non esiste”. Per Prodi, bisogna valutare tanti aspetti, molti dei quali mutati dalla guerra: “Ad esempio, il riarmo tedesco. Per settant’anni si sono opposti tutti i partiti tedeschi e in un giorno l’hanno approvato quasi tutti i partiti. Queste cose devono trasformare anche il senso politico e ridare un’unità all’Europa, non perché diventi il terzo impero, ma perché abbia la possibilità di arbitrare con autorità e soprattutto assicurare ai propri cittadini una sicurezza regionale”.

Secondo Romano Prodi “una via ci sarebbe”. O meglio, un punto di ripartenza: i giovani e la cultura. “Io – ha confidato – ho una specie di fissazione sul Mediterraneo che dobbiamo riportare ad essere un mare di pace. Si può! Non c’è più unità, dobbiamo rifarla coi ragazzi, con gli studenti, fare 30 università miste, paritarie, con una sede a Nord e una a Sud: Bari, Tunisi, Barcellona, Rabat, Atene, Il Cairo. Con lo stesso numero di studenti e professori del Nord e lo stesso numero di studenti e professori al Sud, con due anni di studio al Nord e due anni di studio al Sud, che nei primi anni magari cominciano con le materie tecniche… Quando noi avremo 500 mila ragazzi che hanno studiato insieme, la pace nel Mediterraneo è fatta!”.

L’indicazione di ripartire dai giovani e dalla cultura per l’Europa è applicabile anche all’Africa, terra che Prodi conosce bene dopo aver presieduto il gruppo di lavoro tra Nazioni Unite e Unione africana sulle missioni di peacekeeping e aver dato vita alla “Fondazione per la Collaborazione per i popoli”. La necessità è quella di creare istituzioni nuove che collaborino, e l’esempio pratico è quello dell’Erasmus, pensando ai professori dei Paesi del sud del Mediterraneo che insegnano nelle varie parti del mondo. “Se noi non rimettiamo insieme questa leadership nuova, non otteniamo niente, cosa potrebbe anche essere considerata un sogno per il tempo che richiede, ma non certo per la spesa. Infatti, basta fare due conti per scoprire che con il costo di un incrociatore si fanno sei università, più o meno. Ecco, ci costa più il pattugliamento che l’università!”

Lo sguardo dell’ex capo del Governo italiano si è poi concentrato sulle drammatiche ricadute che la guerra ha sulla produzione e distribuzione di cibo nel continente. Al di là della drammatizzazione dell’aspetto alimentare, tuttavia, per Prodi è da sottolineare la “decadenza continua” della convivenza civile. “La mia generazione – ha osservato – ha esultato per la democrazia dei Paesi africani e poi, adagio adagio, questa democrazia si è insecchita, i leader eletti democraticamente si sono trasformati in leader autoritari che non vogliono più andare via, quindi, la situazione politica africana è molto grave”.

Le tensioni si moltiplicano nel continente, e questo a causa di radici di un “paternalismo” che non è più accettato, ma anche perché l’Africa continua ad essere “oggetto di attenzione” per la comunità internazionale. “Con i suoi 55 Paesi frammentati – ha osservato Prodi –, con immense ricchezze potenziali, la situazione disastrosa politicamente, è chiaro che da un lato ci sono i cinesi, dall’altro i francesi e gli americani”. Una luce di speranza viene dal prossimo viaggio del Papa nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan che sarà “un messaggio di convivenza in due delle quattro o cinque aree più disastrate dell’Africa”. Il frutto che Prodi auspica possa nascere da questa trasferta è la convinzione che bisogna aiutare l’Africa ad esprimere il suo enorme potenziale, dato da “fermentazioni e da novità che non sono mica male”, da nuove organizzazioni economiche e da “giovani che si mettono assieme” che occorrerebbe sostenere e moltiplicare.

Romano Prodi ha infine confermato la convinzione, già espressa in passato, di un’Africa che può diventare “il centro del mondo”, soprattutto per l’importante crescita demografica. Il punto è decidere “se sarà al centro dello sviluppo o della tragedia del mondo”, se sarà dunque “terra di conflitto o terra in cui aiuta, in qualche modo, una nuova globalizzazione, più ordinata o giusta”. L’Africa, è la contraddizione rilevata da Prodi, è come una pianta “che ha bisogno di vent’anni per crescere e la politica di oggi ragiona in ore o in giorni”.

(A cura di Luciano Costa)

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