Il viaggio del Papa e l’Europa che guarda…

Il trentacinquesimo viaggio apostolico di papa Francesco, che inizia oggi e si concluderà il 6 dicembre, si svolge tra Oriente e Occidente, alla ricerca della fraternità e dell’unità. Cipro, Grecia, ad Atene e poi a Lesbo (l’isola divenuta simbolo della migrazione di massa): cinque giorni di pellegrinaggio e di incontri con realtà e religioni diverse; cinque giorni in cui papa Francesco pronuncerà undici discorsi, due omelie e reciterà un Angelus “di speranza e di conforto per il mondo”. Evidente il significato del viaggio: rinsaldare i legami tra Oriente e Occidente, dare nuovo impulso all’ecumenismo, scuotere le Istituzioni e la politica affinché si facciano carico dei gravi problemi che quelle nazioni e popoli stanno vivendo.

Il Papa ha parlato di pellegrinaggio sulle orme dei primi missionari, ma anche di un viaggio che ripercorrendo le orme lasciate da dai suoi predecessori (Giovanni Paolo II andò in Grecia nel 2001e Benedetto XVI a Cipro nel 2010 per chiudere un decennio tragico, segnato dalle divisioni e caratterizzato dall’attacco terroristico dell’11 settembre 2001) riprenda le fila di un dialogo tra mondi diversi, religioni diverse e diversi modi di rispondere ai bisogni di tanti popoli in fuga. A Cipro, da secoli estrema frontiera verso il Medio Oriente, laboratorio di convivenza, terra d’incontro con l’Ortodossia, papa Francesco s’incontrerà venerdì 3 dicembre con sua beatitudine Chrysostomos II, arcivescovo ortodosso di Cipro dopo aver incontrato subito dopo il suo arrivo a Nicosia, la piccola comunità cattolica maronita e latina che fa riferimento al Patriarcato di Gerusalemme dei Latini.

Nel pomeriggio di venerdì 3 dicembre papa Francesco presiederà a Cipro la preghiera ecumenica con i migranti; domenica 5 dicembre, in Grecia, visiterà nuovamente l’isola di Lesbo insieme all’arcivescovo di Atene, per dare “un chiaro segno che l’aiuto per i migranti e per i rifugiati è una grande sfida ecumenica, che necessita di una comune collaborazione”. A Lesbo, “l’isola dei dimenticati” come l’ha definita la grande stampa d’occidente, papa Francesco incontrerà i migranti e ascolterà alcune testimonianze dei circa duemila profughi, in maggioranza provenienti dall’Afghanistan. Nel giorno conclusivo del viaggio, ad Atene, il papa riceverà nella Nunziatura la visita del presidente del Parlamento greco. Poi incontrerà i giovani, a cui rivolgerà l’ultimo discorso.

Di tutto il viaggio impressiona la forza con cui il papa ha voluto sottolineare la sua presenza a Lesbo, dove “lo tsunami umano proveniente dal mare, con il suo carico di disperati in fuga, ha trasformato la piccola isola in emblema della crisi migratoria”. Una crisi che ha posto Lesbo al centro dei flussi di profughi siriani che dalla Turchia puntano all’Europa a bordo di barconi, anche in condizioni drammatiche”. In prima linea nella difesa dei profughi c’è padre Leone Kiskinis, unico parroco cattolico di Lesbo. Parlando della visita del papa ha detto che “iIl Santo Padre non dimentica l’orrore delle morti in mare, dei bambini mai arrivati, delle vittime di viaggi disumani sottoposte alle angherie di vili aguzzini. E non dimentica neanche la generosità del popolo greco, con la sua capacità di rispondere alle sofferenze di altri nonostante le gravi difficoltà da affrontare tenendo aperti i cuori e le porte. Qui il Papa – ha aggiunto – viene per abbracciare, toccare, parlare con quella umanità scartata che scappa dalle guerre e che, arrivando in Europa, si trova spesso rinchiusa in campi di accoglienza dove il futuro diventa buio. Viene da come pellegrino di speranza e umanità per coloro che, fuggendo dai drammi del nostro tempo, intraprendono il rischioso viaggio verso la libertà per avere un futuro dignitoso e approdano sulle coste greche, sulle rive dell’Europa proprio per cercare la speranza”.

Il parroco di Lesbo parla anche di un’Europa “che bisogna costruire, di un’Europa inclusiva, che non ha paura di accogliere bambini e famiglie che cercano protezione; di un’Europa, patria dei diritti umani, che avrebbe dovuto seguire l’esempio del buon samaritano nel mostrare misericordia a chi ha bisogno, che avrebbe dovuto lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà”. Perché non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma è necessario sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali, fermando la proliferazione e il traffico di armi e coloro che perseguono progetti di odio e violenza.

L. C.

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