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In ogni caso, buon Natale!

Mi ero ripromesso di guardare il Natale (questo Natale così uguale ma diverso e forse anche strano, in cui si scorgono sentimenti e paure in perfetto equilibrio) con gli occhi di Giuseppe, lo sposo di Maria, l’uomo giusto, il mite falegname prescelto per stare al fianco di Maria e per dare famiglia a Gesù, lasciando ad altri ogni svolazzo retorico, sociologico e di costume. Volevo parlare di Natale partendo da Giuseppe, il papà buono e amabile, dalla sua capacità di stare al fianco della Madonna senza mai cedere alla tentazione di rivendicare diritti o di imporle doveri, dalla sua ammirevole disponibilità a prendere tra le braccia quel bimbo annunciato niente meno che il Salvatore del mondo, dalla sua capacità a stare in silenzio davanti ai misteri che passavano davanti ai suoi occhi. Ecco, mi dicevo, se potessi vorrei essere Giuseppe. Ma durava soltanto un attimo quella presunzione, perché poi emergeva l’abissale distanza che mi separava da lui: lui buono, io nessuno e per di più errante in questo mondo fatto di insidie e di ricerca di utilità personali piuttosto che di bene per tutti.

Essere Giuseppe nell’ideale presepio, era una mia pura invenzione. In realtà restavo il presuntuoso che si permetteva di dire ai suoi simili che la un giorno migliore era possibile, addirittura vicino, se il cuore veniva aperto agli altri e le mani agitate solo per accarezzare e lenire le sofferenze degli umani. Ho anche pensato che sarebbe stato bello raccontare Natale senza partire dal solito “oggi è nato un bimbo destinato a salvare il mondo”, ma con il più semplice “Giuseppe, tenendo per mano Maria, vagò in lungo e in largo per cercare un alloggio ma trovò soltanto porte sbarrate. Allora dovette accontentarsi della stalla, che si preoccupò subito di abbellire e riscaldare con l’aiuto di un asino e di un bue così che lei e il bimbo atteso di lì a poco potessero sentirsi a casa”.

Avrei poi continuato il racconto descrivendo le peripezie di Giuseppe nella ricerca di cibo per la dolce Maria e di pannicelli caldi per il neonato, delle sue fatiche e attenzioni per fare in modo che i pastori sollecitati ad andare a Betlemme dalla stella trovassero posto per sostare e fieno da dare alle greggi, della sua preoccupazione, accresciuta dalle voci di invidia che e rancore che arrivavano dal palazzo del re, volta a garantire che nessuno facesse del male a Gesù, della sua disponibilità a fare posto ai Magi venuti da Oriente, della sua pronta ubbidienza all’Angelo che gli ordinava di prendere i suoi cari e di fuggire lontano, del suo ritorno a casa, di nuovo pronto a riprendere il mestiere di sempre: il falegname.

Ecco, un Natale raccontato partendo da Giuseppe sarebbe stato insolito, ma anche bellissimo. E sono sicuro che nessuno, neppure Maria e neanche il nascituro, avrebbe avuto da ridire per una scelta così fuori dall’ordinario e in qualche modo azzardata. Avrei voluto, sapevo di non poterlo fare, però era bellissimo immaginarlo. Poi, d’incanto, ecco l’annuncio di Francesco, papa degli ultimi e degli umili: “Voglio che il prossimo anno sia interamente dedicato a san Giuseppe, che cioè sia l’anno di san Giuseppe, carico di misericordie da intercedere e da indulgenze da lucrare, proprio come se fosse un supplemento di Anno Santo”. Allora ho capito che il mio sogno si stava avverando, che Giuseppe smetteva di essere il semplice accompagnatore e diventava invece l’uomo giusto per eccellenza, il custode della famiglia, il lasciapassare per ogni grazia richiesta al suo diletto figlio.

Un semplice Natale si è così trasformato in uno straordinario Natale, in nquesto Natale dell’anno 2020. “San Giuseppe – ha scritto papa Francesco – è un padre che è stato sempre amato dal popolo cristiano. Egli è un esempio di paternità, che ha saputo mettersi in un angolo per mettere al centro della sua vita non se stesso, bensì Gesù e Maria. Egli è un padre amorevole e preoccupato… E il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione”.

San Giuseppe, proclamato patrono della Chiesa universale da Pio IX l’8 dicembre del 1870, sedici anni dopo l’emanazione del dogma dell’Immacolata Concezione (promulgato l’8 dicembre 1854), amato dai semplici e invocato dagli umili lavoratori, da adesso cammina al fianco di chi in lui ha visto e vede l’uomo giusto. Anche di chi, magari impegnato a cercare un Natale lontano dagli stereotipi, ha visto in lui il punto di partenza, il compagno ideale del viaggio alla ricerca di un posto nuovo in cui far nascere e rinascere ogni giorno quel bimbo un po’ speciale, una nuova umanità, un modo nuovo di essere città, paese, villaggio.

Ma poi, leggendo ieri i quotidiani bresciani, ovviamente non ho trovato traccia di quel “mio” Giuseppe finalmente rimesso al centro dell’ideale presepio. Però, su uno dei tre quotidiani locali (Il Giornale di Brescia), ho trovato una lezione, firmata dal vescovo Pierantonio Tremolada, apparentemente improntata a far vivere il Natale traendo spunto dai premi della bontà appena consegnati, ma concretamente rivolta al modo in cui le pagine quotidiane trattano il bene e il male. “Appare fin quasi banale constatare – scriveva ieri il Presule – che giornali e affini non hanno pagine di cronaca bianca (il buono) mentre non possono assolutamente prescindere dalla cronaca nera (il gramo). Parlare di scandali, delitti e ruberie varie suscita sempre interesse. Non così per le cosiddette azioni buone. Ci si stanca presto a sentirle raccontare. Fa male dirlo ma è così”. Perché questo accade è presto detto. “Forse è così – dice il vescovo – perché il bene è per sua natura discreto. Esporlo continuamente alle luci della ribalta è contro la sua indole”. Anche adesso, soprattutto adesso che è Natale. “La fatidica frase che assicura come a Natale ci sentiamo tutti un po’ più buoni – dice Monsignor Tremolada – non è entusiasmante, soprattutto perché lascia intendere che in tutti gli altri giorni è normale non esserlo”.

Sul secondo quotidiano locale (Bresciaoggi), Natale è soffocato dalla cronaca amarissima dei troppi giorni passati a contare lutti e miserie. “Arriviamo a Natale – ha scritto il direttore Maurizio Cattaneo – con tanto buio alle spalle e qualche luce davanti a noi”. Sarebbe però il caso, conclude Cattaneo “di smetterla con gli alibi, gli scarica barile, le furbizie” e di assumersi ciascuno la responsabilità di fare la sua parte fino in fondo, di dare il meglio “come in taluni gravi momenti della nostra storia siamo stati capaci di fare”. Segue, naturalmente, l’augurio di buon Natale.

Sul terzo quotidiano (Brescia-Corriere della sera) Giacomo Canobbio, prete e teologo di alto lignaggio, ipotizza nel fondo un “nuovo inizio” partendo dall’annotazione, suggerita dalla filosofa ebrea Hanna Arendt, secondo la quale “gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per ricominciare”. Se ho ben capito, è il trionfo della vita, “che nessuna forza mortifera è in grado di bloccare”; è il ritorno “a una umanità fraterna” possibile “rimettendo in unità, dopo le lacerazioni che ha conosciuto, il motto della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità”; è, soprattutto “un’umanità resa possibile – scrive il prete teologo – dalla presenza di Dio, che ha voluto essere solidale con gli esseri umani”. Questo consente all’editorialista invitato a scrivere della festa che sarà “un Natale diverso, più spoglio, ma forse più vero, come un regalo che non perde il suo valore neppure quando la carta che lo avvolge finisce nel cestino”.

Tanti modi diversi per dire che è Natale: il mio affidato al sogno di viverlo come e insieme a Giuseppe; quello del vescovo Tremolada orientato all’attesa di ripensamenti giornalistici che consentano di vedere il bene (cronaca bianca) e non soltanto il male (cronaca nera); quello del laico direttore di più testate orientato a vedere oltre il buio una luce che forse c’è o forse non c’è; quello del prete teologo che vede un nuovo inizio nel rifiorire della vita, quando “una mano bianca stringerà una mano nera per dare da bere la propria acqua a chiunque abbia sete”.

Quale che sia il Natale che preferite, buona festa. Anzi: Buon Natale.

LUCIANO COSTA

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