Il Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, lodevole e impegnativo modo con cui Comunione e Liberazione, il movimento promosso da don Giussani, intendeva e intende sollecitare il mondo cattolico a essere protagonista invece che succube degli eventi, incomincia oggi a Rimini mettendo al centro dei dibattiti che fino al 25 agosto vedranno alternarsi i rappresentanti della comunità religiosa e civile “il coraggio di dire io”, titolo coraggioso ma anche pericoloso, che però, dicono gli organizzatori “non vuole essere un messaggio individualista ma un’assunzione di responsabilità per aprirsi al dialogo”. Dunque, benvenuto Meeting e benvenute le idee che aiuteranno a comprendere perché è indispensabile, soprattutto adesso, il coraggio di dire io.
A Rimini, davanti a una platea di giovani ansiosi di smettere la giubba del conformismo e di vestire quella dei testimoni del bene, del dialogo e della verità, si parlerà di fede, di culture diverse, delle difficoltà giovanili, della crisi delle democrazie. Ci sarà spazio anche per approfondire il tema della pandemia, dei vaccini e delle terapie per debellare il Covid-19 e tutte le sue varianti. Ma anche per riflettere su quanto sta succedendo in Afghanistan e ad Haiti, per aprirsi all’altro, chiunque esso sia, perché l’altro non è mai un nemico, un ostacolo, un avversario da superare, bensì una persona che cerca altre persone con cui dialogare, lavorare, pensare e agire per rendere migliore il mondo.
Il Meeting per l’Amicizia tra i Popoli giunge alla quarantaduesima edizione lasciandosi alle spalle gli anni della corsa alla “migliore rappresentatività del mondo giovanile cattolico” (quelli che lasciavano l’Azione Cattolica ancorata al suo passato piuttosto che proiettata al futuro), poi gli anni della contrapposizione politica (quelli che videro la fine della DC e l’avvento di altre logiche partitiche decise a farsi spazio vantando il possesso dell’idea cristiana lasciata vacante dai democristiani e usando promesse e proclami che, come ebbe a dire un attento e critico osservatore, “sebbene esagerati appagavano gli appetiti e aprivano spazi a rappresentatività inusitate”) e infine quelli del movimentismo, che proclamando autonomie e rivoluzione avevano portato il popolo a illudersi e così immaginare nuovi scenari di potere e di ricchezza per tutti.
Grazie alla mia età, non certo giovanile, ho visto nascere prima Comunione e Liberazione e poi il Meeting. Di Comunione e Liberazione non sono mai stato entusiasta: nasceva in contrapposizione all’Azione Cattolica e sebbene si dichiarasse aperta al dialogo, di fatto escludeva chiunque non la pensasse alla sua maniera (e questo proprio non lo sopportavo); racchiudeva in sé la voglia di rivincita di giovani cattolici decisi a rivendicare il loro modo di essere cristiani nella società, ma anche il diritto di cercare spazio e visibilità; voleva imporre la sua visione di mondo senza concedere ad altri mondi di esprimersi e di confrontarsi supponendo che il dialogo fosse il mezzo più efficace per camminare insieme. Del Meeting di Rimini che andava a incominciare mi era piaciuto il suo modo di coinvolgere i giovani in un progetto di “ecumenismo diffuso”, un po’ meno quello di arruolarli per imporre la logica del fare e far vedere. Mi capitò allora di scrivere in controtendenza, dicendo cioè che non era tutto oro quel che luccicava dalle parti del Meeting, ricevendo da parte di un illustre esponente, oggi decaduto e declassato a comparsa, l’invito ad allinearmi…
Ma è storia passata, che forse racchiuderò nei fogli che lascerò ai posteri o forse non scriverò affatto. Adesso conta quel che il Meeting, per altro preoccupato dagli effetti della pandemia, intende proporre all’attenzione di tutti, prima ai cattolici e poi ai laici. Il tema scelto, infatti, “riflette sull’incapacità diffusa di esprimere in modo personale le proprie convinzioni più profonde e la difficoltà di condividerle, che finisce per lasciare spazio ad una specie di indifferenza generale rispetto alle domande più importanti e più decisive per la vita di ognuno”.
In un messaggio inviato al Meeting per conto di papa Francesco, il cardinale Parolin dice che “il titolo scelto — Il coraggio di dire “io —, tratto dal Diario del filosofo danese Søren Kierkegaard, è quanto mai significativo nel momento in cui si tratta di ripartire con il piede giusto, per non sprecare l’occasione data dalla crisi della pandemia. Ripartenza è la parola d’ordine: ma essa non si realizza automaticamente, perché in ogni iniziativa umana è implicata la libertà, la quale presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo […] sia un nuovo inizio, quella libertà che deve sempre di nuovo essere conquistata per il bene. In questo senso – sottolinea il cardinale -, il coraggio di rischiare è innanzitutto un atto della libertà”.
Il messaggio al Meeting dice anche che “la società ha necessità vitale di persone che siano presenze responsabili. Senza persona non c’è società, ma aggregazione casuale di esseri che non sanno perché sono insieme. Come unico collante rimarrebbe solo l’egoismo del calcolo e dell’interesse particolare che rende indifferenti a tutto e a tutti. Del resto, le idolatrie del potere e del denaro preferiscono avere a che fare con individui piuttosto che con persone, cioè con un “io” concentrato sui propri bisogni e i propri diritti soggettivi piuttosto che un “io” aperto agli altri, proteso a formare il “noi” della fraternità e dell’amicizia sociale”. C’è dunque bisogno, innanzitutto, di qualcuno che abbia “il coraggio di dire “io” con responsabilità e non con egoismo, comunicando con la sua stessa vita che si può cominciare la giornata con una speranza affidabile”.
Purtroppo, è risaputo che il coraggio non è sempre una dote spontanea e nessuno può darselo da sé (come diceva il don Abbondio manzoniano), soprattutto “in un’epoca come la nostra, nella quale la paura — rivelatrice di una profonda insicurezza esistenziale — gioca un ruolo così determinante da bloccare tante energie e slanci verso il futuro, percepito sempre più come incerto soprattutto dai giovani”. Da dove può venire, allora, il coraggio di dire io? Di sicuro avviene grazie a quel fenomeno che si chiama incontro. Se adesso la parola meeting significa ancora incontro, allora a Rimini, da oggi e per sei giorni, ci si incontra per rendere migliore il futuro; qui e altrove.
LUCIANO COSTA