Italia e Usa: nazioni “inquiete”

Italia col fiato sospeso in attesa di sapere se, come e quando si esca o si entri nel tempo di crisi politica e di governo paventato da giorni e ora, forse, di prossima scadenza. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il Recovery con l’astensione, motivata dalla mancanza di riferimenti precisi al Mes, delle due ministre renziane; oggi pomeriggio Matteo Renzi è atteso per giustificare ciò che è stato fatto e delineare il percorso che intende seguire. “Questa crisi non s’ha da fare” verrebbe da dire. Ma bisognerebbe anche aggiungere subito che è ora di fare chiarezza.

Stati Uniti d’America col fiato corto, in preda alle convulsioni del dopo 6 gennaio (giorno dell’assalto a Capitol Hill) e divisa sul come “punire” il primo responsabile dello scempio arrecato alla democrazia americana. Tutto questo quando mancano otto giorni all’insediamento del nuovo presidente e al definitivo allontanamento del vecchio.

In attesa di sapere che cosa accadrà in Italia, l’attenzione si sposta agli Stati Uniti d’America dove, purtroppo, un sesto morto, vittima dell’assedio a Capitol Hill del 6 gennaio, un altro poliziotto, forse fuori servizio al momento degli scontri, si aggiunge alla lista dei caduti negli scontri fra manifestanti e forze dell’ordine.

Gli ultimi giorni della presidenza Trump si annunciano molto lunghi ed il presidente eletto, Joe Biden, sembra consapevole che siano tra i più delicati per un mandato che dovrà farsi carico di guarire una nazione divisa da false narrazioni e disparità sociali. Se la Camera dei rappresentanti si occuperà, infatti, di giudicare il ruolo che Trump è accusato di avere avuto nel legittimare la sommossa, la nuova amministrazione ha intenzione di dedicare l’agenda dei primi cento giorni esclusivamente alla lotta al virus, all’equa distribuzione dei vaccini ed al sostegno delle famiglie, sempre più schiacciate dall’emergenza sanitaria.

Non che Biden non sia stato durissimo nei confronti del predecessore e del suo atteggiamento nelle ore in cui cadevano le fragili difese attorno a Capitol Hill. Ma sembra intenzionato a tenere la barra su una rotta di riconciliazione e di ritorno alla normalità. «Sta al Congresso decidere» ha detto nei giorni scorsi, ribadendo che i ruoli, in questo passaggio, sono diversi. Biden, inoltre, si prepara a sottoporre all’approvazione del Congresso la sua squadra di governo e desidera evitare di arrivare all’appuntamento in un clima di contrapposizione. Non solo. Anche il Congresso, avverte Biden «dovrà essere pronto a darsi da fare perché non appena io e Kamala (Harris) saremo insediati introdurremo, immediatamente, significativi provvedimenti legislativi per affrontare il virus e la crisi economica». L’agenda dei cento giorni, per la Casa Bianca, è questa.

Diverso il discorso per il Congresso. Qui la speaker della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi, continua con determinazione a muoversi verso l’avvio della procedura di impeachment. Procedura che deve essere attivata dalla Camera e deve essere valutata e votata in Senato. Tempi difficilmente compatibili con i giorni disponibili, ma che consentirebbero, secondo i democratici, di giudicare l’operato del presidente uscente che si troverebbe, inoltre, escluso da una ricandidatura nel 2024.

E mentre aumentano le fila dei repubblicani convinti che sia necessaria l’uscita di scena di Donald Trump per sanare la ferita di Capitol Hill, il presidente uscente è sempre più isolato nel partito e sui social, da sempre la sua tribuna preferita per rivolgersi agli statunitensi. Facebook e Twitter hanno chiuso i suoi account nei giorni scorsi, nel timore che potessero essere usati in vista dell’insediamento del 20 gennaio. Ed ora anche Google fa la sua parte rispondendo alla mossa del presidente di spostarsi sul social alternativo Parler: l’applicazione necessaria a seguire Parler non è più scaricabile. Il social, ovviamente resta accessibile e la mossa non lo fermerà. Ma i toni dei messaggi, registrano gli osservatori, stanno salendo. E mentre si reclama un’inchiesta sulla gestione della sicurezza di Capitol Hill il 6 gennaio, si nota che il clima in rete ricorda quello che ha preceduto l’assedio.

Un clima in cui si parlava chiaramente di rischi di tumulti in coincidenza della ratifica del voto del 3 novembre. Adesso, di nuovo, si guarda con timore ai giorni che portano al 20 gennaio.

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