L’articolo 21 della Costituzione Italiana dice che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione”. Se questo principio non viene garantito, la Legge interverrà così che a chiunque sia permesso di dire e scrivere per esprimere il proprio pensiero, perché questo è il principio vitale della libertà. Però, come la mettiamo con la massa di bugie o di mezze-interessate-supposte-ipotetiche-artefatte verità che ogni giorno circolano liberamente e spudoratamente? Qualcuno ha inventato un manuale che insegna come evitare le trappole e districarsi tra notizie vere e false. Ciononostante, la notizia spazzatura, evidentemente bugiarda, è lì e genera confusione.
Attorno ai vaccini, per esempio, c’è di tutto e anche il contrario di tutto. In un dialogo neppure tanto immaginario quel che emerge è presto riassunto: “Questo sì, questo no, quell’altro alla larga, quell’altro ancora non ne parliamo; e quello che verrà da fuori sarà migliore; però i cinesi e i russi; per non dire dei misteriosi vaccini che sarebbero riservati ai soliti ricchi; e quelli che fanno parte dei pacchetti vacanza (“tu vieni, che il vaccino te lo garantiamo noi” dice la pubblicistica) non scherzano”. Ognuno aggiunge ai dialoghi che si mischiano ai tempi di attesa di vaccini o tamponi quel che ha sentito dire. Il risultato è un gran guazzabuglio di parole che opoco hanno da spartire con la verità. Invece, sarebbe il caso di dare spazio soltanto alla verità. Ma come si fa, se anche i giornali e qualunque mezzo di informazione, che della verità dovrebbero alimentarsi, diventano cassa di risonanza di troppi si dice e delle opinioni di troppi opinionisti che altro non cercano se non visibilità?
“Noi – diceva il vecchio direttore – non saremo giudicati bravi perché mettiamo parole dentro pagine bianche, ma solo se e come saremo capaci di usare quelle parole per rendere testimonianza alla verità”. Quel direttore, con solenne utopia, credeva in un’informazione che fosse strumento “di verità, giustizia e fraternità”. Quando se ne andò e fu palese che il buon Dio gli aveva già assicurato un delizioso angolo di Paradiso, la sua corte di scribacchini – vecchi, giovani e giovanissimi –, quella che lui aveva aiutato a camminare a testa alta, gli mise accanto una penna stilografica chiedendogli di usarla per continuare a scrivere parole di verità, di giustizia e di fraternità. Sono pasti tanti anni… La lezione resta, ma è materia ostica e quindi viene relegata in un cantuccio. “E la sovrabbondanza di informazioni e di fonti a disposizione di tutti, insieme alla rapidità con cui queste si diffondono – ha scritto un analista del settore -, non si traduce automaticamente nella possibilità — alla portata di ciascuno — di essere più informati o più consapevoli, di saper distinguere tra informazioni veritiere e fake news, tra fonti attendibili e fonti inquinate”. In più “è sempre più evidente la mescolanza tra fake news e informazioni vere, che spesso viaggiano insieme, così che le cosiddette bufale si insinuano come un virus nel corpo sano dell’informazione rischiando di infettarlo tutto”.
Nel rapporto redatto da “Ital Communications-Censis” e intitolato “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione” (è stato presentato l’altro ieri a Roma) c’è l’immagine di un Paese che, contemporaneamente, crede e non crede, che a fatica vede “il ruolo svolto in Italia dai professionisti delle agenzie di comunicazione nel garantire qualità e veridicità alle notizie e mantenere, così, un sistema dell’informazione libero e pluralista”.
Di conseguenza, per il 49% degli italiani la comunicazione sull’epidemia è stata confusa, per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva e solo per il 13,9% equilibrata. I media fanno fatica a governare il fenomeno che sta sconvolgendo il mondo, col risultato che i fruitori delle notizie messe in Rete sono disorientati: 29 milioni di cittadini nel nostro Paese durante l’emergenza sanitaria hanno trovato sul web e sui social media informazioni che poi si sono rivelate false o sbagliate.
Internet è stato il regno incontrastato delle bufale e delle fake news diffuse con la bulimia comunicativa al tempo del Covid, “notizie – è scritto nel rapporto – che hanno riguardato origini, modalità di contagio, sintomi, misure di distanziamento o cure: tutti effetti evidenti e preoccupanti, molto pericolosi, di una comunicazione senza intermediazione, in cui sono venute meno le barriere d’accesso e mancano i filtri per la verifica o il discernimento di qualità delle notizie.
“Per la prima volta, i media, vecchi e nuovi, hanno avuto difficoltà a governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda a causa della pandemia – si legge ancora nel rapporto – confermando di avere sempre più bisogno di figure esterne affidabili e competenti”. Per esempio, delle “4.389 agenzie di comunicazione che operano nel nostro Paese, realtà dove lavorano 8.311 professionisti del settore e che magari sono anche un argine contro la cattiva informazione”. Resta il fatto che per andare oltre i si dice e arrivare a sconfiggere i diffusori di notizie false, è necessario smetterla di abbeverarsi senza ritegno a qualsiasi fonte, perché è proprio dalle fonti non controllate e quindi assai spesso inquinate, che nascono e si rafforzano pregiudizi e false notizie. Da qualche parte ho letto che “la cultura della post-verità, lontana dai fatti e dalla concretezza, nutrita da emozioni e da credenze, che parla alla pancia più che alle intelligenze, alimenta le paure, radicalizza le identità, favorisce chiusure, muri, diffidenze, diventa il substrato di cui si nutrono i populismi”.
Chi ci salverà da questa evenienza? Io dico che saremo noi medesimi, usando buon senso, a vincere la sfida. Come e quando, però, dipende dalla capacità di ciascuno di andare oltre i si dice per mettersi dalla parte della verità.
LUCIANO COSTA