Attualità

La Chiesa Cattolica e l’8 per mille…

Ritornano con ciclica aggressività le critiche all’8xmille e alla gestione dei fondi attribuiti dai contribuenti soprattutto alla Chiesa Cattolica. Un tic polemico che si ammanta di volta in volta di nuove argomentazioni e che di recente è giunto a evocare l’uso, in sede di Chiese locali, di alcune somme per fini discutibili e del tutto sbagliati. Eppure è sotto gli occhi di tutti il valore delle opere che con il concorso dell’8xmille la Cei e le diocesi, le parrocchie e le associazioni ecclesiali realizzano per combattere la povertà, ridare dignità alle persone e promuovere l’educazione non solo religiosa delle nuove generazioni. Come pure per far fronte alle piccole e grandi emergenze, ad esempio in occasione della pandemia, quando la Cei ha stanziato oltre 250 milioni di euro per l’acquisto di attrezzature mediche e respiratori e per l’aiuto alle fasce più svantaggiate della popolazione. Senza contare i fondi e le energie messi in campo da altri soggetti ecclesiali. Basti pensare poi ai 6 milioni di pasti distribuiti gratuitamente dalle mense della Caritas ogni anno. Un aiuto indispensabile che ove venisse meno causerebbe danni incalcolabili a tutto il Paese.

Allo stesso modo è possibile verificare come vengono impiegati i fondi. In fatto di 8xmille la trasparenza e la rendicontazione sono regole assolute. E non solo perché previste dalla legge istitutiva, la 222 del 1985. Ma anche e soprattutto perché nel corso degli anni la Cei e le diocesi si sono date autonomamente una serie di regolamenti interni a integrazione della normativa statale. In particolare il rendiconto, consultabile anno per anno è un documento ricco di numeri e di testimonianze che ha il merito di offrire il quadro d’insieme e i singoli dettagli. Da quello relativo al 2021 (l’ultimo pubblicato, il 2022 è in fase di elaborazione) si evince ad esempio che del miliardo e 136 milioni ricevuti in base alle scelte dei cittadini, poco più di un terzo (420 milioni) è stato destinato al sostentamento del clero, per assicurare ai sacerdoti una remunerazione che oscilla tra 800 e 1200 euro lordi a seconda dell’anzianità e degli incarichi.

Alle 226 Diocesi italiane sono stati assegnati 158 milioni di euro per le attività di culto e pastorale, 82 milioni di euro per l’edilizia di culto e la tutela dei beni culturali (un ambito molto vasto, che va dalla costruzione di nuove chiese alla manutenzione di edifici di culto esistenti, fino alla gestione attiva del patrimonio mobiliare, come musei, archivi, biblioteche) e 150 milioni per le iniziative caritative. Per l’assegnazione di questi fondi, la Cei chiede a ciascuna Diocesi un piano dettagliato, che indichi gli obiettivi, i destinatari e gli eventuali co-sostenitori di ciascuna attività, e al termine di ogni anno viene chiesta una rendicontazione delle attività sostenute, corredata da una verifica degli obiettivi e dei destinatari raggiunti. Inoltre, 50 milioni di euro sono stati attribuiti a iniziative caritative nei Paesi in via di sviluppo. La Presidenza della Cei si è poi riservata, favorendo laddove possibile la compartecipazione di altri soggetti, di sostenere iniziative di rilievo nazionale, gestendo in maniera diretta parte dei 53 milioni di euro per interventi caritativi e 123 milioni di euro per attività di culto e pastorale. Infine si è provveduto ad incrementare con 100 milioni il fondo di riserva, in vista della diminuzione del gettito Irpef – e quindi dell’8xmille – a causa dell’impatto del Covid.

Scendendo nel dettaglio, vediamo che dei 158 milioni impiegati dalle diocesi per la carità in Italia, 43,8 sono andati a persone bisognose, 88 alle opere caritative diocesane, 12,7 a quelle parrocchiali e 14,2 alle opere caritative di altri enti ecclesiastici. Che cosa c’è dietro a questi numeri e ai 4.395 progetti messi in atto? Ci sono i volti e le storie di molti dei 5,6 milioni di poveri censiti dall’Istat. Quelli che hanno perso il lavoro a causa del Covid e che hanno difficoltà persino a pagare le bollette. Ci sono le vittime dell’usura, i disoccupati, gli immigrati, gli emarginati, gli anziani abbandonati e le situazioni di fragilità oggi più drammaticamente diffuse. Ma anche i volti, le braccia e le iniziative di migliaia di volontari laici, sacerdoti, consacrati e consacrate senza i quali questi interventi non sarebbero possibili.

Per quanto riguarda, invece, le esigenze di culto e pastorale, le diocesi hanno prevalentemente impiegato i fondi per il sostegno ad attività pastorali, facoltà teologiche e istituti di scienze religiose, parrocchie in condizioni di necessità straordinarie, iniziative a favore del clero anziano e malato, mezzi di comunicazione sociale. Altri impieghi hanno riguardato attività di formazione del clero e dei religiosi, scopi missionari, catechesi ed educazione cristiana (oratori e patronati, associazioni e movimenti). In tutti questi casi, per evitare assegnazioni generalizzate, i criteri per la ripartizione dei fondi alle 226 diocesi italiane sono stati ridefiniti in occasione dell’assemblea dei vescovi del maggio 2016. Ogni diocesi poi fornisce alla Cei un rendiconto dettagliato, accompagnato da una relazione che spiega i criteri adottati, gli obiettivi perseguiti e i risultati conseguiti attraverso le iniziative finanziate. In maniera analoga, a livello diocesano i contributi vengono assegnati alle parrocchie sulla base di progetti che illustrano le attività ed i programmi per cui si chiede il finanziamento, la previsione di spesa, le risorse proprie investite e le ulteriori fonti di finanziamento.

Un capitolo molto importante è quello destinato all’edilizia di culto e alla tutela dei beni culturali ecclesiastici. Con i 168 milioni erogati nel 2021 a questo scopo sono stati realizzati 2.262 progetti che spaziano dall’installazione di impianti di sicurezza all’inventariazione informatizzata di beni mobili al censimento delle Chiese e alla conservazione e consultazione di archivi, biblioteche e musei. La parte più consistente è stata impiegata per il restauro delle chiese (96,6 milioni) e per la costruzione di nuovi edifici (55,4 milioni). Con queste destinazioni, mentre si tutela il patrimonio storico artistico che fa del nostro Paese uno straordinario museo a cielo aperto, si contribuisce alla umanizzazione dei quartieri di periferia, dato che le nuove chiese, i locali per il catechismo e il classico oratorio con i suoi campetti per lo sport sono anche centri di aggregazione sociale e antidoto alla devianza giovanile, al degrado urbano e alla crisi di prossimità di cui soffre la società.

Non è inutile a tal proposito ritornare sull’argomentazione di chi rimprovera alla Chiesa Cattolica di destinare una parte importante delle risorse al sostentamento dei sacerdoti e “solo” un terzo alla carità. In realtà l’impiego dei fondi denota un diverso e più ampio concetto di carità, che non coincide semplicemente con l’assistenza diretta. Ad esempio: si può dire che i soldi impiegati per assicurare la remunerazione al sacerdote che nell’oratorio di periferia si occupa dei giovani e li preserva da baby gang, criminalità più o meno organizzata, droga e alcol non siano spesi per la carità? Analogo l’esempio di quei sacerdoti che si occupano di aiutare gli usurati o di sottrarre giovani donne dalle grinfie del racket della prostituzione. E come qualificare le somme impiegate per la costruzione del campetto di gioco in una nuova parrocchia di periferia dove tali attività si svolgono? Tecnicamente questi ultimi sono fondi per il culto. Ma dietro c’è una rilevante finalità sociale che per la Chiesa è anche una motivazione di carità. L’8xmille anzi, da questo punto di vista, ha portato la Chiesa italiana sulla strada degli interventi di carità strutturale, che si affiancano a quelli emergenziali. Un cambiamento di passo che non è possibile ignorare e che si risolve in un beneficio per tutti, credenti e no. E’ vero, infatti, che la Chiesa italiana restituisce, in termini di beni e servizi alla comunità civile, molto di più di quanto riceve grazie alla fiducia dei contribuenti.

FABRIZIO LUCIANI

Altri articoli
Attualità

Potrebbero interessarti anche