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La felicità di essere e sentirsi Repubblica

La Repubblica: settantasette anni fa nasceva e portava all’Italia quella felicità che le era stata negata troppo a lungo dalla monarchia e dalla dittatura; oggi la Festa che la circonda, circonda chi pensa libertà, democrazia, uguaglianza e partecipazione virtù e beni irrinunciabili. Cioè, abbraccia noi, noi che abitiamo un Paese che da settantasette anni crede possibile adempiere al dovere di rappresentare tutti e di tutti essere garante di buona esistenza. Perché è questo il senso di una Repubblica: essere di tutti e a tutti assicurare pari dignità e pari opportunità. Avevo da poco compiuto solo un anno quando la Repubblica prendeva il posto della monarchia. Qualche anno dopo, in età curiosa, chiesi a papà e mamma perché proprio quel giorno si faceva festa. Mamma mi spiegò che quel giorno di festa doveva servire a far riflettere sulle possibilità che ciascuno aveva di partecipare direttamente alle scelte da compiere; papà mi raccontò le fatiche compiute e i dolori patiti per conquistare quel titolo di Repubblica, mi aiutò a leggere alcune righe di storia in cui brillavano le parole essenziali della Repubblica: libertà, democrazia, giustizia, lavoro…

Più avanti, quando il tricolore compariva alle finestre e a ogni angolo di strada per dire che era la Festa della Repubblica, cercai di capire da solo il valore di ciò che i vecchi avevano conquistato. Allora mi fece sorridere il fatto che il 2 Giugno, giorno scelto per essere Festa della Repubblica, era anche l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi (il mitico eroe dei due mondi, tra i principali protagonisti del Risorgimento, cioè di quel periodo storico che nel 1861 aveva favorito l’Unità d’Italia), però, mi fece sentire cittadino vero di un Paese vero e vero perché libero, sapere che gli italiani, finalmente liberi, avevano aderito al referendum istituzionale e votato scegliendo di essere Repubblica e mai più monarchia. Quel voto sancì la definitiva sconfitta del nazifascismo e la nascita dello Stato in cui oggi viviamo: uno Stato regolato da una Costituzione, guidato da un Presidente della Repubblica e governato da un Parlamento bicamerale (Camera dei Deputati e Senato).

“A fondamenta della Repubblica – mi spiegò la maestra di turno -, due anni dopo il referendum istituzionale, i nostri avi posero la Costituzione”, la legge per eccellenza, quella più importante, un insieme di regole bellissime, elaborate sui principi fondamentali su cui fu ricostruita un’Italia migliore, pensate per il bene di tutti i cittadini. “Racchiusi nella Costituzione – diceva convinta la maestra – ci sono i valori essenziali del vivere e del progredire, valori che sono donati a ciascuno: fatene sempre buon uso!”. In quel giorno, in maniera sempre uguale e sempre solenne, nell’angolo di mondo che era il mio paese, dominava la felicità. Infatti, diceva il nonno, “la Repubblica è prima di tutto felicità: felicità di essere liberi, di vivere senza dittatori, di essere tutti uguali, di camminare ciascuno nella direzione preferita, di costruire il proprio futuro, di vivere qui o là senza paura e senza affanni…”.

Quella stessa felicità l’ho respirata leggendo l’intervista che Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, ha concesso a un foglio di servizio (“Poste News”) piuttosto che a un qualsiasi giornale quotidiano. Nell’intervista (insolita per collocazione non certo per importanza) Mattarella sottolinea il valore della scelta fatta dal popolo italiano, dei diritti e dei doveri conseguenti, dei valori messi a tutela del bene comune, che restano immutabili perché immutabile è il loro valore. “Essi parlano – sottolinea il Presidente – di centralità della persona, del riconoscimento della sua integrità e inviolabilità, del primato dell’uguaglianza tra gli esseri umani, della dignità, della libertà, della solidarietà, dei diritti e dei doveri… Valori che appartengono a tutti i cittadini, che sono nostri, che vivono nella società…”.

Poi, con pazienza, il Presidente rimette al centro quel che la Costituzione dice a ciascuno. E cioè che “ciascuno ha il diritto di cercare e trovare la felicità”, la quale smette di essere utopia o sogno quando è rivestita di “diritto al lavoro che, a ben vedere, è un altro modo di declinare la dignità umana, fatta di realizzazione personale e di strumenti di sostentamento, sulla strada della felicità. Questo – dice il Presidente Mattarella nell’intervista – è un impegno impresso come incipit nella nostra Costituzione e ripreso nei primi quattro articoli con una chiarezza e una forza eccezionali. Sono anche articoli pieni di speranza e proiettati verso le nuove generazioni. Sono articoli – e principi – che indicano una permanente azione politica, legislativa e di governo che riesca a guardare oltre l’immediato per disegnare l’approdo migliore per le giovani generazioni. Il lavoro, fondamento della Repubblica, è un obiettivo che ancora manca per troppi giovani e troppe donne. C’è la necessità di connettere le trasformazioni dei modelli economici in atto, in ragione dell’evoluzione tecnologica, con la formazione necessaria per interpretarle, governarle per affermare il primato della persona contro mere logiche di profitto o di dominio”.

Poi, i giovani e le donne. “I giovani – spiega il Presidente – devono partecipare alle trasformazioni in atto nel Paese e non subirne gli effetti… L’articolo 3 della Carta assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese. E’ la nostra declinazione di un diritto alla felicità. Quanto alle donne, vi sono dinamiche vecchie e nuove che influiscono nelle scelte di vita. Sono ancora presenti gli ostacoli da rimuovere per permettere loro una piena realizzazione nella dimensione lavorativa e nel vissuto privato. Quando il diritto di un singolo viene negato è tutta la comunità a risentirne. Fino a quando esisterà un solo ambito precluso di fatto a una donna il principio di uguaglianza sarà tradito”.

 

Poi la democrazia che “è ascolto da parte delle istituzioni e partecipazione da parte dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali che costituiscono la forza delle società civili contemporanee. Talvolta, sul dialogo tende a prevalere il conflitto e, peggio – un fenomeno non nuovo ma non per questo meno deprecabile, aggravato oggi dall’uso distorto dei social – è il manifestarsi nella dimensione pubblica di espressioni di odio, ancor più inquietanti se espressione di lotta politica. La violenza anche solo verbale crea fossati non colmabili, mina e rende sterile ogni senso di comunità…. La democrazia è divenuta norma di vita della nostra comunità e la sua pratica la rafforza. Recentemente il popolo italiano ha superato la terribile prova della pandemia ritrovando nella solidarietà, caposaldo della nostra Costituzione, la chiave per affrontarla. Il noi e il senso di comunità hanno prevalso sull’isolamento e l’impotenza…”.

 

Poi, la pace e la necessità di renderla visibile. “La nostra Costituzione – sottolinea Mattarella – rifiuta la guerra come offesa alla libertà degli altri popoli e strumento di risoluzione delle controversie internazionali… Consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo… perché la pace non è solo ‘assenza di guerra’, ma un progetto generale di convivenza tra esseri umani che caratterizza tutto l’impianto della Costituzione…”.

 

Poi l’Europa e la sua unità. “L’unità europea – spiega il Presidente nell’intervista – rappresenta uno degli eventi di maggior successo della storia del nostro Continente. Nel quadro delle istituzioni europee e col loro concorso è stato possibile realizzare i maggiori progressi sociali, garantire democrazia e sistema delle libertà, assicurare una condizione di pace dopo i continui conflitti dei secoli precedenti. Nel contesto odierno, in cui la dimensione dei protagonisti della vita internazionale è determinante, nessuno dei singoli Paesi che appartengono all’Unione Europea sarebbe capace, da solo, di svolgere un ruolo efficace. Nei momenti di crisi si riscoprono i valori del patto fondativo europeo per affrontare uniti le emergenze. Anche per la costruzione della casa comune i processi di avanzamento sono stati più rapidi nei momenti difficili. La risposta alla pandemia ne è stata un esempio. Nel mondo globalizzato affermare che nessuno si salva da solo non è una mera affermazione di rito. Il prossimo anno ci saranno le elezioni del Parlamento europeo. Una straordinaria occasione di democrazia per i cittadini di ventisette Paesi…”.

Sarà anche l’occasione per dire e ribadire che “l’Europa siamo noi”.

 

LUCIANO COSTA

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