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La Giorgia di borgata e la Meloni di governo…

La Camera dei Deputati ha concesso la fiducia (al Presidente o alla Presidente: fate voi, tanto nemmeno gli esperti di linguistica sono d’accordo sul come liquidare la faccenda), oggi farà altrettanto il Senato della Repubblica. All’evento i media hanno dedicato spazi e dirette a non finire, commenti sopra e sotto le righe, puntualizzazioni su quel che è stato è quel che stava accadendo, rimandi ai precedenti Presidenti (solo uomini, quindi senza patemi sul come chiamarli), sventagliate di applausi, intermezzi minimi dedicati ai timorosi no-buu-fischi-rumori dissenzienti, qualche impertinenza dedicata a chi era lì ma anche altrove (tablet, smartphone, cellulari e diavolerie tecnologiche consentivano questo e altro), insomma tutto lo scibile mediatico possibile e immaginabile. Poi, un provvidenziale ritorno al palinsesto con i soliti telefilm polizieschi, i soliti giochini e giochetti, le solite botole i cui sprofondano gli sconfitti, la solita irriverenza del meteo e via discorrendo, tutto per ridare all’animo una parvenza di normalità dopo tanta straordinarietà datagli in pasto con parole e parole, una studiata e l’altra usata per farla digerire alla plebe…

Cosa sia rimasto della giornata non l’hanno spiegato le stelle, neppure la porta comunicante con un’altra porta, tanto meno i cosiddetti esperti ed opinionisti… “Potresti farlo tu – mi ha suggerito la vicina curiosa -: se ne hai per tanti, figurati se non ne trovi alcune da dire alla Meloni!”. Le ho risposto riproponendo l’antico e mai tramontato “di certo so di nulla sapere” al quale, con la semplicità della massaia, ha aggiunto un “ma va là…” eloquente e distruttivo. In effetti, avendo ascoltato il discorso programmatico, potevo almeno tentare di spiegarlo, sia come discorso obbligato (cioè mellifluo, invitante, accomodante, promettente, buono e cattivo la sua parte), sia come discorso innovativo (cioè coniugato al femminile, improntato al tono lieve, “diverso da chi chi chi” – canzone di chissà quale anno – nell’agone aveva buttato, salvo rare eccezioni, prima l’eloquio e poi la sostanza).

Invece… Invece silenzio, meditazione, pensieri personalissimi e qualche divagazione, ma non su temi affrontati, piuttosto sul modo di presentarli, cioè usando la solita voce forzata da comiziante di borgata, regalando parole senza grazia e senza femminilità, mischiando due chili di retorica, uno di mistica, mezzo di spirituale, quattro di slogan… Roba buona per esaltare l’eroica scelta di andare a destra, per acquietare piuttosto che per spronare ad assumersi precise e dolorose responsabilità, quelle di cui il Paese in crisi ha urgente bisogno. Elegante e ben pettinata, la prima donna Premier, mi ha dato l’impressione di non sapere o di aver dimenticato che sono “beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi” e, dico io in aggiunta al verso reso immortale da Bertolt Brecht, nemmeno di eroine.

Stamani all’alba ho riletto la sintesi del discorso programmatico pronunciato dalla Premier (o dal Premier). Toni a parte e a parte anche talune rivendicazioni e precisazioni (non richieste) conferma impegni e appartenenze già note, smorza i tempi del populismo becero, sottolinea il dovere di essere e di fare Europa, invoca pace e promette aiuti all’Ucraina invasa dalla Russia, chiede unità sui problemi pur nel rispetto delle diversità di campo, promette cielo e terra nuovi… Chissà. Oggi replica. Poi, quali che siano i giudizi, lasciamola lavorare. Fra cento giorni (è il termine che si usa per la prima verifica) si vedrà…

LUCIANO COSTA

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