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La lezione della Croce è per tutti…

Le solennità sono sempre evidenziate sul calendario, ma spesso vengono dimenticate o comunque non sufficientemente considerate. Capita nella società civile, si ripete in quella religiosa e dimostra quanto sia difficile fermarsi anche solo a riflettere sul significato che le ricorrenze portano con sé.  Così, ad esempio, chi mai s’è premurato lo scorso 8 settembre di spiegare alle nuove generazioni che in quella data, 78 anni prima, la firma dell’armistizio aveva posto fine all’alleanza con la Germania nazista e fatto nascere la Resistenza che nei sedici mesi successivi – mesi di guerra, di stragi, di bombardamenti e di rappresaglie – avrebbe permesso di giungere a quel 25 aprile 1945 che segnava la liberazione dell’Italia dal nazifascismo e dalla guerra? Nessuno.

E uguale dimenticanza avrebbe probabilmente accompagnato, questa volta sul versante religioso, la data del 14 settembre (festa dell’Esaltazione della Santa Croce), appena ieri, se a rimetterla in primo piano non si fosse levato alto e forte il monito di papa Francesco, che alla gente di Prestov e al mondo collegato in diretta televisiva diceva “non riduciamo la Croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale; passiamo  dai pregiudizi al dialogo, dalle chiusure all’integrazione; testimoniamo Gesù crocifisso nella vita di tutti i giorni”, evitando quindi di inficiare questa testimonianza con la mondanità e la mediocrità, rifuggendo dalla “grande tentazione di aspirare a un cristianesimo da vincitori, a un cristianesimo trionfalistico, che abbia rilevanza e importanza, che riceva gloria e onore”.

Il Papa, che parlava ai giovani di Prestov, dettava però una lezione valida per tutti. “La Croce – spiegava perché tutti comprendessero – esige una testimonianza limpida. Perché la croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere”. Questo vuol dire che “il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo, non vede nessuno come nemico… che il testimone della croce non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente, non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana, non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto, perché questa sarebbe una religione della doppiezza”.

Il papa ha detto tutto questo nel corso del 34mo internazionale che lo ha portato nel cuore dell’Europa. E non è certo un caso che l’abbia detto proprio dove più forte si avverte il richiamo di forze politiche e culturali che fanno riferimento alla Croce come a un simbolo identitario, propagandando al contempo legislazioni non inclusive e solidali. Verrebbe da dire “meditate, gente, meditate…”.

Ad aggiungere riflessioni alle riflessioni suggerite da papa Francesco, sempre ieri, in occasione della chiusura del Giubileo straordinario della Compagnia delle Sante Croci (un sodalizio che da cinquecento anni è custode e testimone delle Sacre Reliquie custodite nel Duomo vecchio di Brescia), solennemente celebrata nella Cattedrale, ci ha pensato monsignor Mario Delpini, arcivescovo metropolita di Milano, che nella sua breve, semplice e incisiva omelia ha riversato i pensieri di tutti… Dopo aver ricordato che “per aprire la cassaforte che custodisce le sante Croci sono necessarie tre chiavi: una affidata al vescovo, una al sindaco della città e una al presidente della Compagnia dei Custodi” il vescovo ha spiegato  che “le tre chiavi corrispondono a tre domande, sono l’espressione di tre bisogni, desideri, speranze; sono l’invocazione per tre modi di abitare la città e anche tre preghiere…”.

La prima di queste preghiere riguarda la città dell’uomo. “È possibile –ha chiesto il presule – abitare la città senza essere infelici? Senza avere paura? Senza essere smarriti nelle complicazioni? Umiliati nell’impotenza? Ignorati nell’anonimato? Scoraggiati dal lamento, dalle proteste, dai comportamenti meschini, maleducati, indifferenti, cattivi?”. La seconda preghiera è quella della gente: “La vita può essere salvata dalla banalità? C’è qualche cosa che ci raduna che non sia solo coincidenza, trovarsi a vivere nello stesso condominio o nella stessa via? Un incontrarsi che non sia solo per lavorare, fare affari, essere tifosi della stessa squadra? Il vicinato può essere salvato dal pettegolezzo, dalla diffidenza, dai meschini dispetti, dalle gelosie e dall’invidia? I doni ricevuti dai nostri padri potranno essere consegnati al futuro?”. La terza preghiera è quella della Chiesa: “La Chiesa ha qualche cosa da dire a questa città? C’è una parola che può raggiungere la gente indaffarata, la gente distratta, la gente disperata? C’è una parola in nome di Dio? C’è una forza che può rendere la Chiesa unita in una carità che sia sopra tutto, in un ardore che sia missione appassionata, coraggiosa profezia; in una gioia che il principe di questo mondo non possa spegnere o rapire?”.

Ha detto monsignor Delpini che le tre chiavi, le tre preghiere, le tre domande che formano l’essenza del mistero “aprono un solo tesoro, trovano una sola risposta, sono esaudite da una sola rivelazione: la Verità di Dio, l’innocente crocifisso! Per il vescovo significa non sapere altro che Cristo Crocifisso; per i Custodi delle Sante Croci che la via “per trasfigurare il convivere in fraternità” è solo quella; per il sindaco della città dell’uomo che “il fondamento su cui possono stare salde le istituzioni è l’evidenza di una dipendenza, è la riconoscenza per il dono ricevuto, è il riferimento all’oltre, all’Altro che non si riduce a una opzione così personale da dover essere nascosta, come fosse un attentato alla democrazia, ma è il principio della speranza, la motivazione più necessaria per la dedicazione al bene comune”, perché “il fondamento buono del potere è la vocazione a servire”.

Però, per dare i frutti desiderati, le tre chiavi devono essere usate insieme. Infatti, esse “aprono solo se sono usate contemporaneamente: la Chiesa, la società civile, le istituzioni pubbliche possono aprire insieme la cassaforte perché insieme possono trovare la verità che illumina la vita, l’amore che rende possibile la convivenza di tutti i fratelli, la speranza che incoraggia il cammino…”.

Se non crediamo nella Croce, fidiamoci del suo significato: ha le braccia spalancate e pronte ad accogliere tutti; se crediamo che la Croce sia salvezza e verità, comunichiamo a chi ci sta vicino la sua grandezza. Ma se qualcuno abusa della Croce, non esitiamo a rinfacciargli la sua doppiezza.

LUCIANO COSTA

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