Goran Bregovic, chi è costui? E’ un cantante di strada e piazze, però raffinato nel dire e nell’assemblare note; è un menestrello, un cantastorie, un imbonitore di voci e di sentimenti, un predicatore di felicità, un avversario deciso e credibile delle comodità, un nemico dei venditori di fumo che in politica sguazzano piuttosto che servire, un raccontatore delle difficoltà che il vivere riassume in sé… Poi, Bregovic è anche un fine compositore di colonne sonore, un artista conteso da registi e produttori ma sempre restio a concedersi salvo mettersi gratuitamente in piazza quando era necessario dare voce a chi non ha voce o a chi nuota nella disperazione.
Ricordo un suo concerto in un immenso parco in riva al fiume Po: eravamo in tanti e lui cantava come stornellatore piuttosto che come imbonitore. Raccontava la vita agra e magra della sua terra – la Bosnia dilaniata da contrasti -, i viaggi dei gitani e degli zingari, la felicità dei sopravvissuti e quella dei diretti al cielo di tutti, la pace condita in tutte le salse perché fosse usata da tutti e da tutti distribuita… Ne ricordo un altro, al Vittoriale di Gardone Riviera, beffardamente intitolato “chi non diventa pazzo non è normale”, con lo scenario offerto dal lago su cui dominava la luna e con gli appassionati di musica non banale che al “gitano menestrello” chiedevano immersioni senza confini tra le sue musiche e le sue liriche.
Oggi la cronaca musical-discografica mi regala un Bregovic, che a tutto il buono già accumulato aggiunge pensieri spirituali senza confini su cui mi diletto riflettere e pensare. Goran, infatti, il più influente compositore e musicista emerso dalla scena balcanica, torna con un album profondo e sorprendente, una sorta di oratorio dedicato alle tre religioni monoteiste. L’album s’intitola The Belly Buttom Of The World (L’ombelico del mondo) e sulla copertina si vede lui che bacia il bel pancione di una donna di colore incinta su cui è disegnato un mappamondo. Fantastica allegoria dell’essere, ma anche provocazione senza confini e ammonimento pacifico a ravvedersi per i troppi razzisti ancora in circolazione, una vera apertura verso il mondo intero senza confini e senza razze o lingue…
Accompagnato dalla sua immancabile e straordinaria band (Wedding and Funeral Band il suo nome) composta da una serie di ottoni, un percussionista-vocalista e voci bulgare, Goran offre un album di cinque brani, scritti per tre violini solisti, un’orchestra sinfonica, un sestetto di voci maschili e, naturalmente, la sua band, in cui propone tre racconti lirici basati su liturgie cristiane, ebraiche e musulmane, tutti da ascoltare, tutti da vivere, tutti da raccogliere e conservare per essere rifugio di pensieri pensati, buoni per vivere e anche per sopravvivere all’iniquità che ancora devasta l’umana avventura. Per rinnovare pensieri, memorie e riflessioni che la musica di Bregovic porta con sé, ecco il concerto gratuito in piazza del Gesù a Napoli, il 9 giugno, per i 799 anni dell’Università Federico II, a cui seguirà il breve tour che lo porterà il 14 luglio al Castello Sforzesco di Milano, il 20 luglio a Vares, poi ad Assisi, Majano (Udine) e Melpignano nel mese di agosto. Esserci sarà il modo per omaggiare l’artista ma anche per godere ottima musica. Nel frattempo, col solo scopo di capire quel che Bregovic verrà ad offrire, ecco un’intervista intelligente ed eloquente, tutta da leggere.
Bregovic come mai ha scelto questo titolo e questa immagine per il suo nuovo lavoro?
Il significato di questo disco è che dobbiamo imparare a vivere insieme su questa terra. La terra per me è una donna che ci dà mangiare, ci dà la gioia e tutto il necessario per vivere. Ecco perché ho scelto una donna incinta per la copertina, una immagine che mi impressiona sempre.
Unire in musica le tre religioni è un invito all’unione?
Si tratta di un concerto per violino e orchestra. I tre brani sono stati eseguiti da tre violinisti, un musulmano di Tunisi, un ebreo di Tel Aviv e una cristiana di Belgrado. Questo lavoro mi è stato commissionato nel 2010 dalla basilica di Saint Denis a Parigi dove allora venne eseguita in due concerti straordinari con l’Orchestra nazionale di Francia. Il disco, invece, è stato registrato durante il Covid, quindi sono stato io a viaggiare da Tunisi a Tel Aviv a Belgrado per registrare, mi è piaciuto molto lavorare così. Questo lavoro mi sta dando delle soddisfazioni inaspettate. Negli ultimi 20 anni ho scritto tante cose su commissione, ma questa è la mia prima commissione di musica “seria” ed esce per Decca, che pubblica solo musica classica. Vediamo se va bene, poi forse tiro fuori le cose più serie che ho scritto in questi anni e che ho nel cassetto.
Musicalmente come racconta le tre religioni?
Lo strumento principale del lavoro è il violino che viene suonato in tre maniere diverse: quello della musica cristiana viene usato come nella musica classica, poi c’è la musica klezmer che è una tecnica degli ebrei, e poi quella orientale che ha una tecnica completamente diversa. Siccome vengo da Sarajevo, queste tre tecniche diverse sono come metafore. Nella mia città queste tre culture vivevano in pace per secoli anche durante le guerre. La mia musica è sempre stata influenzata da tutte e tre le tradizioni. E poi io stesso sono la rappresentazione di questo mondo: io sono ortodosso, mio padre è cattolico, mia madre ortodossa e mia moglie musulmana.
Nel video che accompagna l’album lei rende omaggio alle sue origini e alla sua città.
Si tratta di un viaggio che faccio spesso, fisicamente, o anche solo con il pensiero, con l’auto o nella fantasia, verso la mia città. Il posto dove sei nato resta sempre nel cuore, anche in un luogo come Sarajevo che non sono belli come Roma e Firenze, torno sempre.
Sarajevo è anche una città simbolo…
Sarajevo può essere una metafora dei nostri tempi, un luogo che ha visto per la prima volta la guerra tra decine di famiglie di diverse religioni, una cosa che abbiamo visto per la prima volta noi con la sua violenza. Noi esseri umani impariamo tutte le cose più difficili, come la tecnologia, ma non impariamo a vivere insieme che è così semplice.
La guerra in Ucraina personalmente come la vive?
Io conosco questi Paesi, ho suonato tanti concerti in tante città ucraine e in tante città in Russia, spingendomi fino in Siberia. Mi dà una grande tristezza. E’ diverso, anche se doloroso, quando leggi nel giornale di un conflitto in un posto lontano da quando conosci la gente coinvolta nella guerra. Io ho lavorato con il miglior gruppo di musica ucraina, i Gogol Bordello, con cui ho registrato due brani nel mio album “Champagne for gipsies”. Sono così vicino a queste culture, conosco i pittori, gli scrittori, gli artisti meglio delle persone occidentali. E’ veramente tragico, siamo in mezzo a una guerra che non si sa come andrà finire. Gli artisti non possono cambiare il mondo, ma lasciano dietro di loro le tracce che possono ispirare qualcuno.
Anche il suo nuovo album è un invito alla pace?
Io posso vedere questi tre violinisti di tre tradizioni diverse, hanno vissuto nella guerra da sempre, ma quando prendono in mano gli strumenti esce un’armonia unica. Ma perché la politica non è capace di fare lo stesso? Da fine maggio e fino a fine anno sicuramente suonerò questo lavoro dal vivo in tanti posti perché posso eseguirlo anche con quartetto e la mia orchestra di ottoni come con una Filarmonica. Sono piccole storie, piccole lettere che vuoi raccontare a qualcuno in musica: una storia cristiana, una ebraica e una musulmana.
Lei è molto amato in Italia. Che rapporto ha col nostro Paese?
Mi piace l’estate suonare in Italia, un posto dove c’è gioia autentica, i miei gitani vogliono venire sempre in concerto qui. Mi sembra strano quando gli Italiani si lamentano che non va bene niente. Tutti sogniamo di essere italiani, di vivere in questo Paese divertente, bello, con una storia bellissima. Io l’Italia l’ho girata tutta e non ho mai trovato un posto brutto.
(A cura di LUCIANO COSTA)