Preziosa tutela della salute collettiva o nuova limitazione della libertà individuale? Il dibattito sul green pass, il passaporto sanitario che dal 6 agosto permetterà a chi lo possiede di accedere a bar, ristoranti, teatri, cinema, musei, forse anche agli stadi e alle palestre, tutti luoghi pubblici dai quali saranno invece esclusi i non vaccinati a rischio Covid, ha subito estremizzato pareri e opinioni, dividendo gli italiani in due fazioni: favorevoli e contrari, prudenti e spavaldi, convintissimi e contrarissimi. Il più strenuo sostenitore del green pass è stato Mario Draghi, il presidente del Consiglio che ha aggiornato in senso sanitario il suo celebre grido di battaglia “costi quel che costi” (in inglese whatever it takes). Se possibile, stavolta l’ex presidente della Bce ci è andato giù ancora più duro dicendo: “L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire: non ti vaccini, ti ammali, muori, oppure fai morire; non ti vaccini, ti ammali, contagi, lui o lei muore”. Parole dure ma vere. Solo “parole di terrore” per Giorgia Meloni e il suo FdL. Infatti, a suo parere “l’obbligatorietà del foglio verde costringe subdolamente i cittadini a vaccinarsi, pena l’esclusione dalla vita sociale: non è accettabile, questa non è libertà”. Però, quello che dovrebbe essere il suo alleato, Matteo Salvini, è andato subito a vaccinarsi.
Chi ha ragione e chi ha torto? Per trovare una risposta bisogna intendersi sul significato della parola libertà. Il problema è che i diritti individuali sono sì sacrosanti e inalienabili, ma il discorso cambia se l’Uomo Solitario diventa Cittadino, ovvero membro di un gruppo o di una comunità: in questo caso il singolo individuo assume una responsabilità nei confronti della collettività, aderisce a un sistema di regole, norme e divieti che prevale sull’arbitrarietà delle sue convinzioni o scelte personali. Per comprendere la differenza fra le due situazioni l’esempio più abusato è quello della patente di guida: stabilire che può guidare un’auto soltanto chi ha superato un esame è sicuramente una limitazione alla libertà personale, perché se io fossi pienamente libero potrei mettermi al volante senza fare scuola guida e senza chiedere il permesso a nessuno. Il problema è che probabilmente sarei un pericolo per gli altri. E proprio per scongiurare questo rischio, per garantire l’incolumità di tutti, si è convenuto che per guidare un’auto, un pullman o addirittura un aereo serve uno speciale permesso (e ancora non basta, statistiche alla mano).
Significa che siamo meno liberi? Sì. Ma anche più sicuri. E sulla bilancia il secondo valore pesa più del primo. Non fosse chiaro abbastanza, fra i meme e le vignette che circolano in questi giorni sui social, una spicca per efficacia e incisività: per restare in tema stradale è l’auto denuncia di un no sem, nuova categoria di negazionisti. “Ho deciso: non mi fermerò più ai semafori – annuncia ai quattro venti -. Poiché il semaforo limita la mia libertà personale ed è contrario alla libera circolazione sancita dal trattato di Schengen, da oggi non rispetterò più il rosso”. La provocazione è evidente, il paradosso eclatante. Ma sul piano logico il ragionamento non è troppo diverso da quello di chi ritiene il green pass un abuso di potere.
Prevedere che solo chi è in possessore del passaporto sanitario abbia libero accesso a determinati luoghi non significa che lo Stato possa o debba rendere obbligatoria la vaccinazione, imponendola anche a chi è perplesso sulla sua efficacia o sui suoi possibili effetti collaterali a breve o a lungo termine (attenzione: possibili, ma al momento indimostrabili). Al contrario, significa che la tutela della salute collettiva è più importante della porzione di libertà cui ognuno di noi è chiamato a rinunciare. Ed è un po’ ciò che è successo con la legge che ha messo al bando il fumo: fino a pochi anni fa nei locali pubblici e sui luoghi di lavoro si poteva fumare liberamente (e guai a chiedere a un tabagista di astenersi!). Poi si è capita la gravità dei danni del fumo passivo e si è imposta una regola: sei libero di fumare, ma solo quando sei da solo, a casa tua, all’aperto, sul balcone.
La stessa logica per cui oggi si riconosce ai no vax il diritto a non vaccinarsi, se non se la sentono, ma li si esclude da alcuni luoghi in cui potrebbero diventare un pericolo per gli altri. Oggi vale per i luoghi di divertimento, di svago o di vacanza. Ma il tema è particolarmente delicato perché presto la regola potrebbe estendersi ai luoghi di lavoro o alla scuola: cosa succederà allora? Prevarrà il diritto al lavoro o il diritto alla salute? Nasceranno classi differenziate – verdi per studenti e scolari in possesso del green pass e nere per i no vax, in presenza per i primi, in dad per i secondi – o si farà lezione tutti insieme appassionatamente?
È chiaro che una soluzione vada trovata in fretta e con equilibrio. Anche se non sarà facile. Fin d’ora, però, una certezza c’è: arroccarsi sulle proprie posizioni, non considerare le ragioni dell’altro e trasformare il dibattito scientifico in una disputa ideologica sarebbe l’errore più grande.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”