Retorica e muscoli, muscoli e retorica: il folle zar di tute le (sue) russie di queste ha riempito il suo 9 maggio, l’anniversario della vittoria sui nazisti, e con queste ha cinicamente e proditoriamente avvisato i suoi avversari: non c’è futuro senza di me, non c’è pace senza annessione di ciò che voglio, non c’è libertà e democrazia se non quelle che intendo io. Ovviamente, Putin ha espresso il suo credo girando intorno alla guerra che ha scatenato, seminando dubbi, accusando l’Occidente di essere pronto all’invasione, rendendo l’Ucraina invasa uno straccio di nazione, sede di ideologie contorte, assetata di vendetta contro la grande madre russa. Davanti a lui sfilavano i segni della sua potenza militare: armi, ancora armi, sempre più armi sofisticate e in grado di seminare morte e distruzione ovunque… Mancavano, in quella immensa piazza Rossa, soltanto le navi… Allineate nel mar Nero, magari con qualche problema di sussistenza. Sfilavano invece i carri armati e con loro sfilava la retorica.
Il capo del Cremlino mandava a dire che l’operazione in corso in terra ucraina era necessaria, preventiva, volta a difendere la Russia dalla minaccia portata avanti dalla Nato. Parlava di Nato, Putin, ma mai di Ucraina, invasa proditoriamente ma inesistente ai suoi occhi… Marciavano le legioni putiniane sventolando bandiere ed esibendo simboli, gridando vittoria, senza però sussurrare il desiderio di pace che di sicuro albergava in loro. Mosca in festa, Ucraina in fiamme. Infatti, la festa non impediva che missili e bombe fossero scagliati in terra ucraina. Erano le ragioni della guerra, un mostro stupido e irragionevole…
In un messaggio ai leader delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk Putin ha detto di combattere contro la “feccia nazista. E come nel 1945, vinceremo”. I leader del G7 hanno invece riaffermato che il capo del Cremlino “ha violato l’ordine internazionale basato sulle regole, in particolare la Carta delle Nazioni Unite, concepita proprio per risparmiare dalla piaga della guerra le generazioni successive al secondo conflitto mondiale”.
Oggi il Presidente del Consiglio Mario Draghi incontrerà il presidente americano Biden: al centro del colloquio ci saranno anche gli aiuti dovuti all’Ucraina. Ieri il cardinale Parolin, Segretario di Stato Vaticano, ha auspicato “un’Europa che, nonostante l’orrore del conflitto in corso in Ucraina, porti avanti ancora quel progetto di pace che fu ispirazione e desiderio di Robert Schumann, uno dei primi a credere nell’Unione de popoli europei, per il quale il dovere della pace doveva cancellare ogni idea di guerra. All’epoca ministro degli Esteri francese, Schumann comprese che l’unica via per allontanare il pericolo di un nuovo conflitto non era nella deterrenza, né nel “costruire una pace armata”; intuì piuttosto che solo “la solidarietà reciproca e la condivisione delle risorse” potevano portare alla “riconciliazione autentica”.
Ed è così che iniziò a tracciarsi il cammino verso la Federazione europea, ed è così che cambiò “il destino di regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici”. Alla base della Dichiarazione di Schumann c’era “tutto l’impegno politico e sociale” suo e di coloro che si impegnavano a “lavorare per l’Europa unita e riconciliata”. Sul suo cammino incontrò personalità “che condividevano la stessa fede, lo stesso sguardo sull’esistenza, lo stesso impegno politico, la stessa passione per il bene comune”, come Konrad Adenauer e il nostro Alcide de Gasperi, vero profeta di pace e di concordia tra i popoli. Loro “erano consapevoli che non si sconfigge la morte con altra morte, ma che solo la vita sconfigge la morte”. C osì, dinanzi alla “tentazione umana di far prevalere la discordia”, capirono anche che l’unico modo per affrontare le sfide che si presentavano era “ascoltarsi, ponendo con onestà e semplicità le proprie ragioni, disponibili nel contempo a cogliere le ragioni degli altri”.
Ascoltare e accogliere: ma chi oggi è disposto a partire proprio da lì?
LUCIANO COSTA