Non succede quasi mai, ma se succede, allora è meglio riservare attenzione a ciò che è scritto per ricordarci chi siamo, da dove veniamo, perché e come stiamo andando verso il futuro. Ma quale futuro ci attende se tutto ciò che ci è stato tramandato e insegnato, qui e altrove, nei Paesi che affacciano al Mediterraneo e sono chiamati Terra Santa? Questa notte ai confini tra Israele e Libano, dopo i razzi scagliati dal sud del Paese di Cedri, dove operano i palestinesi di Hamas, verso città e villaggi ebrei, Israele ha reagito bombardano le postazioni palestinesi che lanciavano razzi. Libano e Israele hanno detto che non vogliono la guerra. Però, come si giustificano attacchi e risposte? Non ci sono giustificazioni. Quel che accade e riaccade sistematicamente da molti troppi anni, affonda le radici nella suddivisione imposta tra Israele e Palestina, tra concetti religiosi che si scontrano, tra la sordità del mondo rispetto a una situazione che minaccia la Pace. Invece… Invece il mondo, e non solo adesso, guarda altrove. Eppure, per i territori di questo Medio Oriente che davvero potrebbero davvero essere chiamati Terra Santa, per la storia che li accompagna, per le tragedie subite (sei milioni di ebrei sacrificati dalla follia nazista nelle camere e gas e nei forni sono soltanto l’ultima parte di questa immane tragedia) basterebbe un impegno comune per stabilire regole in grado di mettere la pace al posto della guerra. Chi ha visitato e soggiornato in quei luoghi sa che, salvo le diversità religiose che insistono e provocano l’eterna incomprensione, ebrei e palestinesi convivono, avendo gli uni bisogno degli altri. E nelle rispettive concezioni religiose prevalgono riferimenti alla pace, alla concordia, alla libertà delle persone. E allora: perché la guerra? perché tradire ciò che il proprio Dio ha insegnato? Perché non piegare insieme le ginocchia per invocare che la terra sia libera e in pace? Con queste domande e perché, dopo aver letto una pagina scritta da Abraham Skorka, esperto di storia ebraica, ho incominciato questo venerdì che per molti è Santo e per tanti altri una normalissima vigilia di festa. È uno scritto che coniuga la storia all’attualità, che spiega il senso della Pasqua, che aiuta a guardare con occhi diversi segni e gesti che comunemente compiamo. Allora, eccolo questo scritto. Ve lo propongo come lettura, lasciando volutamente i riferimenti ai testi sacri, per l’anima, ma anche come ripasso di una storia che troppe volte viene compromessa, abusata e usata per scopi che non sono certo quelli tramandati da padri saggi e lungimiranti. (LUCIANO COSTA)
IL TEMPO DELLA PESACH
Pesach (la Pasqua ebraica) è una delle festività la cui celebrazione da parte del popolo d’Israele è prescritta nella Bibbia. Ci sono diverse norme da osservare. Nei giorni della celebrazione non si può mangiare né detenere cibo contenente lievito. Bisogna invece usare pane azzimo per ricordare il pane dell’afflizione mangiato dagli antichi israeliti quando partirono dall’Egitto (Deuteronomio, 16, 3). Inoltre, la vigilia della celebrazione va offerto un agnello che viene mangiato insieme a erbe amare (Esodo, 12, 8) durante una cena in famiglia. Chiaramente, dai tempi della distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte delle legioni romane, non vengono più sacrificati agnelli per il Pesach. Come ogni tradizione viva, l’osservanza di Pesach si è sempre adattata al mutare dei tempi.
Durante la cena, i genitori devono spiegare ai propri figli la storia di come Dio ha salvato i Benei Israel (figli d’Israele) dalla loro schiavitù. L’importanza di questa particolare istruzione è sottolineata dal fatto che viene ripetuta quattro volte nella Torah (Esodo, 12, 26; 13, 8; 14; Deuteronomio, 6, 20). Secondo l’interpretazione rabbinica (Mekhilta d’Rabbi Yischmael su Shemot, 13:14; y. Pesachim, 10:4-70b), queste quattro ripetizioni sono riferite a quattro tipologie di figli: i saggi, i ribelli, gli ingenui e quelli che non sanno come porre domande. La cena di Pesach, celebrata per la prima volta in Egitto e da allora ripetuta sempre, ininterrottamente, nelle case ebraiche, deve servire da sfondo per insegnare ai giovani l’importanza della libertà. È un’occasione fondamentale per instillare valori perenni nelle loro menti e nei loro cuori.
Il Talmud (b. Pesachim, 116a) suggerisce le domande che i figli devono porre ai genitori e le risposte che devono ricevere. È una guida pedagogica che va sviluppata durante la cena di Pesach. Se a tavola, a celebrare, ci sono solo due saggi, il Talmud dice che uno dei due deve porre all’altro suddette domande. Non s’impara mai completamente la lezione, ogni anno serve un ripasso.
Il significato di Pesach – ovvero che per poter raggiungere la loro piena dignità e realizzare il loro pieno potenziale donato da Dio le persone devono essere libere – è uno degli assiomi fondanti delle Scritture. Dal primo e secondo capitolo del libro del profeta Amos, come anche dai testi degli altri profeti ebrei, apprendiamo che il Dio della Bibbia esige giustizia e pace da tutti i popoli e le nazioni, e queste si possono ottenere solo in una realtà di libertà. Il culmine di questo processo di ricerca della comprensione fra tutte le famiglie umane è descritto in Isaia, 2, 1-4 e in Michea, 4, 1-5: un mondo in cui nessuna nazione leverà più la spada contro un’altra e nessuno si preparerà più alla guerra. Sarebbe un mondo redento attraverso l’aiuto di Dio e l’impegno degli uomini.
Chiaramente quel mondo ancora non c’è. Sulla Terra continuano a moltiplicarsi i conflitti. I leader sembrano divertirsi a usare le persone e le risorse come pedine su una scacchiera di giochi di potere. Esseri umani muoiono, ricompaiono strategie distruttive antiche e brutali, e sia le vittime sia quanti assistono inermi alla devastazione si domandano con profonda angoscia: come e quando finirà questo incubo?
Il racconto di Pesach della liberazione dei figli d’Israele dalla schiavitù non termina con la loro marcia verso il deserto. Questa era solo il prerequisito per il passo successivo e più importante, quello di entrare nell’Alleanza con Dio presso il Monte Sinai e la promessa che avrebbero osservato i comandamenti e le norme nella Torah che Mosè ha ricevuto. Senza legge non c’è libertà, e una legge senza misericordia non è che un’altra forma di schiavitù. Per la Bibbia, è l’Alleanza della Torah tra Dio e Israele a portare la vita autentica (Deuteronomio, 30).
Questi temi, naturalmente, sono stati ripresi nel cristianesimo. Secondo il Nuovo Testamento, l’ultima cena di Gesù si è svolta a Pesach, la sera prima della sua morte. Le parole sul pane e sul vino dette da Gesù durante quell’ultima cena e la sua richiesta ai suoi compagni di continuare queste cene in sua memoria (Luca, 22, 19; 1 Corinzi, 11, 25) sono all’origine dell’Eucaristia cristiana. Di fatto, durante la funzione della vigilia di Pasqua, una preghiera detta Exultet ricorda la storia cristiana della redenzione degli uomini, parlando della morte e resurrezione di Gesù come della sua Pasqua. Secondo questa visione cristiana, la “Pasqua” di Gesù ha reso possibile una relazione di alleanza tra Dio e l’intera umanità. Le nazioni che erano nelle tenebre sono giunte alla luce (cfr. Luca, 2, 32) e hanno ricevuto nuova vita (Romani, 6, 3-4).
Il racconto di Pesach, che noi ebrei e cristiani tramandiamo di generazione in generazione nei nostri diversi modi, contiene l’essenza di ciò che Dio si aspetta dalle persone mentre vivono la loro vita terrena. Indica il senso stesso della nostra esistenza. Malgrado le molte ombre del passato e del presente che ricordiamo, dobbiamo tenere a mente anche le luci che ci guidano. Sono questi i momenti di illuminazione che potremmo intendere come interventi di Dio nella storia. Ricordiamoci di questo durante le celebrazioni di Pesach e di Pasqua, che quest’anno si svolgono nuovamente la stessa settimana. Che l’Eterno ci benedica, di modo che possiamo continuare a dare testimonianza del disegno di Dio per gli uomini, comprendendo che le Sue intenzioni non sono illusorie, ma che immancabilmente si avvereranno.
ABRAHAM SKORKA