Qualcuno, anche ieri, di fronte al marocchino (“un extra comunitario, per di più senza permesso” ha commentato un politico che nel suo essere esclude chiunque non gli assomigli, almeno nel colore della pelle) morto ammazzato da uno che lasciata la Polizia e diventato avvocato ha accettato di essere, per la Lega, Assessore alla sicurezza del suo comune (Voghera, cittadina nobile e nobilmente elevata da Giuseppe Berto a regno delle casalinghe), è giunto a dire che lo straniero “se l’è cercata”, che bastava rigasse dritto per non incorrere nel mirino dell’assessore-sceriffo, che se un ex poliziotto diventato avvocato e anche Assessore alla sicurezza ha sparato lo ha fatto per legittima difesa o forse per sbaglio o forse in buona fede. Liberi tutti di pensarla a modo suo, però, insomma perché azzardarsi a mormorare quell’orrenda sentenza racchiusa in quel “se l’è cercata” che tutt’al più potrebbe essere adatto a definire lo strano, casuale e mortale volo di un passero solitario contro il parabrezza di un’auto in movimento?
Tutti liberi di dire. Oppure anche no. Perché non si è liberi di dire tutto quel che si pensa, se è offensivo. Leggo Concita De Gregorio e concordo con lei nell’affermare che “non è libertà esprimere opinioni sul sentito dire, processare persone di cui nulla si sa, giudicare fatti sui quali non c’ero e non ho visto ma pare che. E’ sciatteria, volgarità, approssimazione, presunzione, anche estrema fragilità volendo, è arroganza, è violenza. Non è libertà. La libertà prevede consapevolezza, sempre. E’ una scelta ponderata, in caso contrario è arbitrio, casuale propendere dell’umore. Ugualmente, siccome le parole costruiscono la realtà, scrivere come si parla – se si parla male – significa vivere peggio…”.
Ho notato, e sebbene non fosse la prima volta mi son sentito a disagio, lo strano modo, assai discutibile e addirittura fuorviante, usato per riferire il (mis)fatto accaduto a Voghera. Come se il fatto, di per sé già grave, non fosse in fondo così grave come l’ascoltatore-telespettatore lettore poteva percepire. Quelle parole dette e scritte sembravano un condensato di se e ma fatto apposta per non concedere spazio all’esecrazione di un gesto che, alla faccia della legittima difesa o dell’eccesso di legittima difesa, era un colpo di pistola sparato contro un uomo disarmato e forse non più pericoloso di un viandante in cerca di qualcuno che almeno lo ascoltasse.
“Far West a Voghera” è stato il titolo più usato per presentare la cronaca del (mis)fatto. Nei commenti, invece, salvo coraggiose eccezioni, è generalmente prevalso il concetto di “reazione sproporzionata” ed è sembrato disperante, gonfio d’ira, il grido della sorella che chiedeva “dove è la legge in Italia?”. Ho anche letto che “l’ex poliziotto che si credeva sceriffo faceva le ronde nei quartieri a rischio” e per questo in molti lo ritenevano una persona a modo, di cui fidarsi, alla quale affidare il proprio destino.
In effetti, a leggere quel che l’ex poliziotto diventato avvocato e poi Assessore alla sicurezza in nome e per conto della Lega scriveva, si è facilmente portati a credere che lui e nessun altro fosse l’alfiere a cui affidare il destino di cittadini e di casalinghe di Voghera. Diceva infatti: “L’uso di un’arma deve essere giustificato da un pericolo reale, per una persona che la usa, per le sue proprietà o quelle altrui. Ma questo non significa farsi giustizia da soli. Ovvero, la legittima difesa si configura se sparo per evitare che qualcuno spari a me o non ci son o altri mezzi per mettere in fuga ed evitare che rubi. Sparare deve essere l’extrema ratio, l’ultima possibilità da mettere in atto se non ne esistono altre”.
Così parlava l’assessore. Ma poi ha fatto esattamente il contrario di ciò che asseriva. Lui, infatti, “assessore a mano armata”, che in giro andava con la pistola alla cintura, ha sparato e ucciso. Se lo ha fatto per legittima difesa lo deciderà il giudice. A me, l’idea che qualcuno se ne vada libero con “la pistola in tasca” ripugna e infastidisce. Che il colpo gli sia partito apposta o per caso, non cambia i termini della questione. Si è infatti di fronte a “un uomo di legge che insegna diritto penale agli allievi della scuola di Polizia” ma che “evidentemente è il primo a non credere nelle istituzioni che rappresenta e che addirittura è incaricato di istruire…”. E chissà se a fare quelle lezioni ci andava armato, audace e fiero di esserlo e mostrarlo…
Ha scritto Massimo Gramellini che “il confine tra coraggio e l’audacia e tra l’audacia e l’incoscienza è talmente sottile che una pistola in tasca ci spinge a varcarlo più facilmente”. Pericoloso, dunque, anche solo avvicinarsi alla siepe che lo delimita. “Soprattutto perché la civiltà di cui ci si nutre ha inculcato in ciascuno il principio che la forza va sottratta ai clan, alle famiglie mafiose e malavitose, agli individui e affidata allo Stato…”, perché è nello Stato la garanzia di sicurezza di tutti e per tutti.
Restano poi alcune domande senza risposta: che bisogno ha un assessore di girare con una pistola in tasca? è normale che un uomo politico giri armato (e con il proiettile in canna come ha ammesso lui stesso davanti a chi lo ha interrogato) per le vie della città che deve amministrare? quale cultura c’è dietro a un simile modo di presidiare la sicurezza di tutti?
“A Voghera, l’altra sera – ha scritto Davide Parozzi – non c’erano persone sbagliate nel luogo sbagliato. Fuori posto era soltanto la pistola”.
LUCIANO COSTA