Forse è scandaloso o forse è soltanto normale… Che cosa? La vacanza, quella di Pasqua, piccola ma importante, utile per riprendere fiducia e ricominciare. C’è chi smette e parte, il lavoro e la scuola possono attendere. Giusto così. Però, insomma, con che animo si va in vacanza se appena fuori dall’uscio di casa persistono situazioni drammatiche – guerre soprattutto, senza senso ma combattute e subite evitando di concedere ragioni alle ragioni della pace – delle quali è praticamente impossibile non accorgersi e pesarne i disastrosi effetti? Si dirà: non è questione di adesso. Vero. Nel mondo le guerre sono una costante: si litiga e si spara, si muore senza un perché dichiarato e definito, si vive sbriciolando le briciole rimaste… Quindi, forse per questo ci si dovrebbe scandalizzare se la vacanza resta l’appiglio cui aggrapparsi per andare oltre le avversità? No, nessun scandalo. Solo un piccolo suggerimento: non dimentichiamo i drammi che circondano la nostra esistenza – ci sono e bussano alla porta -, usiamo la vacanza come ristoro dell’anima e del corpo, rivestiamola con scelte intelligenti, arricchiamola di piccoli ma significativi gesti di solidarietà e di amicizia, condividiamo la gioia che regala…
Più o meno, 14 milioni di italiani si metteranno in viaggio per le festività pasquali. Ma tra guerra, covid e inflazione la maggior parte rimarrà in Italia, possibilmente a casa di amici al mare, senza dimenticare coloro che non potranno permettersi il break pasquale per ragioni economiche. Gli italiani useranno infatti questo stacco per rilassarsi, e solo una piccola parte si darà ai divertimenti e alla pazza gioia. Malgrado la durata media della vacanza non raggiungerà i sette giorni, in molti stanno comunque cercando di sfruttare anche il ponte del 25 aprile per godersi un po’ più di riposo. Per fare vacanza, secondo gli esperti, la spesa media sostenuta sarà di circa 500 euro pro capite, una cifra importante, che non tutti possono permettersi. Tra chi non andrà in vacanza ben il 40% dichiara di non poter partire per ragioni economiche. Poi, passata la festa, torneremo ai vecchi crucci mettendo già in conto la vacanza che verrà. Così è e sarà.
Ciò non toglie che in valigia possa trovar posto la cronaca, dolce o amara, dei giorni che si susseguono. La storia che racconta la guerra più vicina, quella che da cinquanta giorni sconvolge l’Ucraina, che mette in fila le guerre e i conflitti in atto, ma di cui non si parla o si parla assai poco: record all’Africa, ma l’America Latina è la più violenta; poi in Yemen, Tigrai e Nagorno Karabakh… Guerre a intensità variabile, sempre meno combattute fra Stati rivali e sempre più da attori non convenzionali. Secondo gli esperti “nel mondo post-Guerra fredda, si è prodotto un progressivo abbassamento della soglia bellica, tanto da includere gruppi privati, siano essi mafie transnazionali o reti terroristiche. Il mercato della guerra si è fatto oltremodo competitivo. E si è strutturato su più livelli, a seconda dell’intensità dello scontro. In genere, più il conflitto è lungo, più il suo andamento procede per picchi e pause. E a farne le spese sono soprattutto i civili”.
Secondo l’Onu, oltre due miliardi di esseri umani, un quarto dell’umanità, vivono in aree colpite dalla temperie bellica. “Sulle loro spalle – ha detto il segretario generale dell’Onu – pesa non solo il macigno delle violenze dirette. Infatti, i superstiti patiscono per anni o anche decenni le conseguenze della temperie bellica in un susseguirsi di generazioni perdute. I costi umani, sociali, politici ed economici sono enormi”. Eppure, per prevenire i conflitti gli Stati investono poco più di un quinto di quanto spendono per la difesa. Già prima dell’invasione russa dell’Ucraina, “la sofferenza globale inflitta dalla guerra aveva raggiunto livelli senza precedenti”. Lo sa fin troppo bene l’Africa, il Continente con più conflitti censiti: il 70 per cento di quelli totali. E il loro numero cresce pur mimetizzandosi ora nella raffica di colpi di stato che hanno caratterizzato l’ultimo biennio. Unito al cambiamento climatico, effetto dell’instabilità ha provocato una tragica carestia che condanna alla fame 346 milioni di donne e uomini, il oltre 60 milioni in più rispetto all’anno scorso. All’estremo opposto si colloca l’America Latina che, con la fine del pluridecennale scontro civile colombiano nel 2016, ufficialmente, si è lasciata la stagione bellica dietro le spalle.
Ma l’immenso territorio tra il Rio Bravo e la Terra del Fuoco è, tuttavia, il più violento al mondo: là, dove risiede l’8 per cento della popolazione del globo, si concentra un terzo degli omicidi segno che la pace latinoamericana è, in realtà, un miraggio. L’eredità bellica e la feroce diseguaglianza hanno determinato il dilagare di una serie di conflitti anomali, difficilmente classificabili in base ai canoni tradizionali, come dimostrano la narco-guerra in Messico, la strage degli attivisti in Colombia, l’anarchia di Haiti, l’instabile convivenza dei popoli del Medio Oriente, le crisi storiche e mai risolte, a ciclica esplosione, presenti in Asia… “Un filo rosso unisce questo caleidoscopio di guerre: la rimozione collettiva”, così dicono le organizzazioni umanitarie che sfidando le guerre portano aiuti dove la guerra divampa.
Vacanza, di qualunque tipo, e cronaca del quotidiano sono facciate di uno stesso edificio. Ognuna guarda all’altra e tutte insieme compongono la realtà. Viverne una, non significa cancellare le altre.
LUCIANO COSTA