La vergogna dei muri

Dodici Paesi dell’Europa unita e civile dimenticano la vocazione primaria alla solidarietà tra i popoli e invocano muri sempre più alti e massicci – muri fatti per impedire che i disperati provenienti dalla disperazione possano impunemente oltrepassarli – per far da confine; dodici Paesi apparentemente civili ripudiano i ponti – arditi, grandi, possenti, larghi e aperti – che sono l’unico modo per unire diversità e popoli diversi. Dodici Paesi forse civili chiedono alla casa comune, che si chiama Europa Unita, i fondi necessari per costruire muri larghi e possenti, invalicabili ai migranti usurpatori.  Vergogna, vergogna, vergogna… Volano per l’aere muto le parole di Francesco, quelle dette l’altro ieri ai rappresentanti delle diverse religioni riuniti per costruire ponti a favore della pace e della fratellanza, che ricordando come purtroppo “il dolore degli altri non mette fretta” e come vi sia “chi vuole dividere e creare scontri” riaffermano con forza che “noi crediamo nell’importanza di camminare insieme per la pace, per la fratellanza e per la concordia”.

A firmare la richiesta di fondi comunitari per costruire muri contro i migranti invasori sono stati dodici Paesi (ieri civili ma oggi un po’ meno) che si chiamano Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia. Per questi dodici Paesi, che della loro civiltà han fatto stracci, la barriera fisica è un’efficace misura di protezione delle frontiere, utile non solo a loro ma all’intera Unione Europea, quindi degna d’essere finanziata e sostenuta… Vergogna, vergogna, vergogna. Il cielo sopra gli altri Paesi dell’Europa che rifiuta i muri e che invece vuole ponti sempre più percorribili, ha pianto ma non si è oscurato. E in nome di quel cielo, che è di tutti e che nessuno o può delimitare con muri e steccati, i delegati a raggere le sorti dell’Unione Europea, hanno risposto che fermo restando “il diritto degli Stati a costruire barriere per proteggere i propri confini”, non sarà certo l’Europa Unita a finanziare quella barbarie.

Dodici Paesi che pure hanno scelto di essere Europa, chiedono muri per dividere la stessa Europa che li ha accolti e che li ospita. Perché? “Forse hanno paura, o forse vogliono soltanto imporre la loro egoistica visione di mondo…” ha detto un volontario che dell’accoglienza è diventato testimone. Ma forse, questi dodici Paesi che improvvisamente hanno dimenticato il significato della parola vergogna, hanno soltanto deciso di diventare “arroganti ed egoisti”. Questi dodici Paesi che chiedono di costruire muri invece di ponti hanno di certo visto le immagini girate da Lighthouse, una organizzazione giornalistica indipendente, alla frontiera fra Bosnia e Croazia. Come racconta Marina Corradi, quelle immagini mostrano “un bosco fitto, un fiume, ombre fra il fogliame; uomini in divisa scura, senza scritte, il volto coperto, brandiscono il manganello in dotazione alla polizia regolare croata; passi di corsa, tonfi, un lamento; urla di sottofondo, un coro da girone d’inferno; uomini inseguiti, bastonati, la schiena marchiata dai colpi, picchiati, verrebbe da dire, con gusto dai vigilantes in nero, ricacciati giù, oltre il fiume, oltre il confine, là dove gli intrusi – sotto-uomini – devono restare”.

L’organizzazione giornalistica indipendente che ha prodotto il tragico video sostiene di poter dimostrare che le milizie-ombra che proteggono i confini dell’Unione fanno capo ai governi dei Paesi coinvolti e a Frontex, cioè all’Europa. “E cioè che, in sostanza – dice la giornalista – quei tipi con i manganelli li pagheremmo noi…”.

Dunque, ci sarebbero “mastini a guardia delle nostre mura”. Ma noi, educati e corretti, lo sappiamo di vivere dentro a una tale orrenda fortezza? Forse sì, ma non lo vediamo… Infatti, ci sono scene che “non vengono mai scelte per l’apertura dei telegiornali…”. Scrive Marina Corradi: “Non ascoltiamo quei gemiti…, non pensiamo che quei padri e madri e figli dall’altra parte sono persone, esattamente come noi…”. Così, ci siamo commossi per i bambini afghani fatti passare oltre il filo spinato all’aeroporto di Kabul. Tanti però, tra coloro che quel muro non l’hanno superato, arriveranno allo stesso fiume tra la Bosnia e la Croazia: e allora non saranno più perseguitati o profughi, ma solo clandestini da fermare, in ogni modo, anche chiedendo fondi comuni, utili a ben altro, per costruire muri tanto spessi e alti da essere invalicabili. Vergogna, vergogna, vergogna.

Intanto, indifferenti o solo lontani dal problema, viviamo corretti, beneducati. Eppure “siamo come dentro a una fortezza sorvegliata da mastini”. Al di qua siamo uomini, al di là no. In questo modo la vergogna (che il vocabolario della lingua italiana definisce “sentimento più o meno profondo di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna (morale o sociale) di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito”) passa e si allontana senza lasciare traccia.

Ai dodici Paesi che hanno sotterrato la loro civiltà sostituendola con muri, auguro di ritrovare umanità e spirito di pace. Altrimenti, che cosa racconteranno ai loro figli quando, cresciuti liberi e forti vorranno sapere perché oltre il fiume e tra gli alberi resistono ancora quegli orrendi muri?

LUCIANO COSTA

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