Eravamo considerati una fabbrica di disoccupati, ma è bastata una variazione dei dati per trasformare la fabbrica in una dispensa felice di occupazione. Tutto vero? Non proprio. E’ vero che a giugno gli occupati sono aumentati, rispetto al mese precedente, di 85mila unità, ma resta un’incognita la crescita globale, che se letta con i dati riferiti al PIL (Prodotto Interno Lordo), non regala prospettive di boom economico. Però, l’Italia non ha mai avuto così tante persone al lavoro. Le rilevazioni mensili dell’Istat (Istituto nazionale di statistica) dicono che a giugno il numero di occupati tra i residenti di età compresa tra i 15 e i 64 anni è salito ancora: grazie agli 83mila occupati in più rispetto a maggio, il totale raggiunge i 23,59 milioni di persone.
È un nuovo record, ma questo era quasi scontato: è dallo scorso dicembre che ogni mese il numero di occupati in Italia segna un nuovo primato. Sono ai massimi storici anche il tasso di occupazione, cioè la quota di occupati sul totale dei residenti, e quello di attività, che include anche chi non lavora ma è pronto a farlo: il primo è salito dal 61,3 al 61,5%, il secondo dal 66,4 al 66,5%. Il tasso di disoccupazione non è ai livelli più bassi di sempre, ma è comunque modesto: siamo al 7,4% contro il 9,2% medio dell’ultimo decennio.
Anche volendo andare più a fondo per inoltrarsi nei freddi numeri dell’Istituto nazionale di statistica non si trovano dati che smentiscono questa immagine di un Paese dove il lavoro non è mai stato così abbondante. Sono ai massimi storici i lavoratori dipendenti (18,55 milioni) e tra loro è record anche per il numero di occupati con contratti a tempo indeterminato (15,55 milioni). I dipendenti a tempo determinato sono invece 3 milioni e gli autonomi poco più di 5 milioni. La crescita degli occupati prosegue malgrado il declino demografico abbia ridotto la popolazione in età da lavoro, che aveva raggiunto un massimo di 39,5 milioni di persone nel 2011 per poi calare sotto quota 39 milioni nel 2016 e sotto i 38 milioni nel 2022.
Anche questo parametro andrebbe comunque un po’ aggiornato, perché secondo le rilevazioni Istat ci sono almeno 700mila persone in Italia che lavorano pur avendo più di 65 anni (d’altra parte l’età per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni). È anche vero che basta poco per essere considerati occupati secondo i parametri utilizzati dall’Istat, che sono quelli standard a livello internazionale: è sufficiente avere lavorato un’ora nella settimana in cui gli addetti dell’istituto conducono le loro interviste a campione tra la popolazione. Ma anche se si guarda il numero di ore lavorate, il migliore indicatore per misurare la reale domanda di lavoro, il quadro resta quello dei record: l’indice per i settori dell’industria e dei servizi nel primo trimestre 2023 è a 123,3 punti, il massimo storico e il 23,3% in più dell’anno base, il 2015.
Eppure questi primati del lavoro non sono accompagnati da un boom economico. Il PIL italiano resta in una situazione di generale stagnazione, mosso più che altro da spinte che arrivano dall’esterno (prima la pandemia, poi le risorse del Pnrr). Senza questi choc, positivi o negativi che siano, il prodotto interno lordo italiano cresce e o cala di pochi punti decimali. Anche se si lavora sempre di più. Questo accade perché lavorare non basta, occorre farlo in maniera produttiva. E qui si torna allo storico problema italiano. Tra il 1995 e il 2021, secondo i calcoli dell’Istat, in Italia la produttività del lavoro è cresciuta in media dello 0,4% all’anno, contro una media europea dell’1,5%. In Francia e Germania la crescita media della produttività è stata superiore all’1%, più del doppio di quella italiana (e di quella spagnola). Allo stesso tempo, questa grande disponibilità di lavoro non sembra avere migliorato molto la condizione economica delle famiglie.
E qui c’è l’altro punto problematico, strettamente legato a quello della produttività: la scarsità delle retribuzioni, che anche prima dell’impennata dell’inflazione in molti casi non permettevano uno stile di vita soddisfacente alle famiglie. Non soltanto nelle situazioni estreme dei “working poor”, cioè le persone che restano povere nonostante abbiano un lavoro (in Italia si stima che siano circa 3 milioni) ma anche in quelle dei lavoratori medi: secondo le ultime rilevazioni di Eurostat (organismo che si occupa delle statistiche del lavoro su scala europea), una coppia di lavoratori italiani che ha due bambini ha un reddito medio lordo di circa 48mila euro, contro gli oltre 62mila euro medi della zona euro, i 63mila di una equivalente coppia francese e i 75mila euro lordi di una coppia tedesca.
Dunque, ben vengano i dati dell’Istat, ma lasciamo da parte ogni euforia. Per assicurare piena occupazione, infatti, serve agire sui meccanismi capaci di produrre lavoro. In più, servirebbe che la politica agisse in maniera univoca. Invece, si sa, ognuno va per conto suo.
LUCIANO COSTA