Oltre cinquecentomila firma raccolte per indire il referendum che spinga il Parlamento a legiferare per consentire a chi è fuori da ogni possibile rimedio medico la morte assistita. Ci vorrebbe un grande medico per spiegare che cosa si intende per “fine di ogni rimedio medico” o perché le ragioni del vivere “fino all’ultimo respiro” debbano avere il sopravvento. Ci vorrebbe, ma in questo tempo di incertezza e di contrapposizione ideologica ogni intervento potrebbe essere considerato un sopruso, addirittura fuorviante se orientato a sostenere il diritto di vivere “fino all’ultimo respiro” e di morire “secondo natura”. Personalmente sono un tenace sostenitore dell’antico e sempre attuale adagio che dicendo “nessuno è tanto vecchio o malato da non credere di poter vivere almeno ancora un giorno” orienta-spinge-sollecita-incita e porta a vivere piuttosto che a lasciarsi morire. Questo non mi impedisce di guardare alla disperazione di chi soffre e vede spegnersi ogni speranza con il cuore e la mente in subbuglio…
Però, riesco anche a immaginare che nulla è impossibile, che insomma il miracolo è possibile. “Solo gli sciocchi credono al miracolo”, mi ha detto un amico poco incline a mettere giaculatorie e preghiere nel suo quotidiano. Forse ha ragione, o forse no. “Io non so che cosa sia e se sia miracolosa quell’acqua in cui voglio essere immersa – mi disse una mamma ammalata che a Lourdes, sotto gli occhi dell’Immacolata, cercava ragioni per vivere e lottare contro il morbo che l’aveva assalita -, ma sento che è buona e che mi regalerà nuova speranza. Non chiedo alla Madonna di farmi guarire, ma di darmi la forza di vivere ancora…”. Ho rivisto quella mamma. Mi ha raccontato il suo calvario, però alleviato dalla gioia e dalla serenità che aveva accumulato a Lourdes. “Non sono stata miracolata, se per miracolo si intende la soppressione della malattia – mi ha confidato -, ma sono tornata da Lourdes piena di gioia e di forza. E questo era il miracolo atteso…”.
Oggi si mette l’eutanasia, cioè la libera scelta di morire, tra le priorità e la legge sul “fine vita” viene considerata una conquista. Davvero il confine tra la vita e la morte può essere stabilito per legge? “L’eventuale legge – ha scritto un sostenitore del diritto di morire – non obbliga, piuttosto consente”. Voleva dire che la scelta è personale e che non tocca le convinzioni religiose di chicchessia. Però, che desolazione! Davvero non è pensabile una variante che dica dobbiamo aiutare a vivere piuttosto che a morire?
La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, riassumendo il pensiero dei cattolici, ha sollecitato “attenzione, preoccupazione, vicinanza e solidarietà”. Ha anche espresso “grave inquietudine” per la raccolta di firme per il referendum “che mira a depenalizzare l’omicidio del consenziente, aprendo di fatto all’eutanasia nel nostro Paese. Chiunque si trovi in condizioni di estrema sofferenza va aiutato a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non a eliminare la propria vita – hanno spiegato i vescovi -. Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano, la vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali”.
Qualcuno ha alzato la voce per dire che i vescovi non possono interferire. “Che vadano a rileggere la sentenza della Corte Costituzionale – hanno aggiunto –, quella relativa al caso Cappato…”. Se non sbaglio, tale sentenza “si è limitata a dichiarare incostituzionale l’art. 580 del Codice penale, nella parte in cui sanziona chi aiuta a morire un soggetto che versa nella situazione indicata dalla Corte”. Quindi non ha attribuito alcun ‘diritto a morire’. Ciò è tanto più vero se si considera che diritto è, secondo una nozione elementare, la facoltà di pretendere che altri agisca in un certo modo. Ma la sentenza, come precisa espressamente la Corte, “si limita ad escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici”. Se ho ben capito “a oggi un paziente non può vantare alcuna pretesa eutanasica, né verso il medico né verso il Servizio sanitario nazionale”. Quindi, essendo la questione così delicata per il carico di sofferenze che grava su molti malati, andrebbe trattata, con tutta l’attenzione che serve, dall’Assemblea legislativa. Come ha scritto il direttore di Avvenire Marco Tarquinio in risposta alle sollecitazioni di un lettore “tutti dovrebbero avere ben chiara la rigorosa architettura della sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito; e nessuno dovrebbe dimenticare che le società che riducono le questioni di vita e di morte a materia di slogan e di circolari si avviano su strade pericolose e, infine, disastrose”.
Una risposta efficace al “diritto di morire” è racchiusa nella capacità di estendere la solidarietà oltre ogni confine e ogni barriera. Assuntina Morresi ha scritto che la “principale conseguenza della morte che diventa un diritto è lo sminuirsi della solidarietà umana, cioè della responsabilità e del farsi carico del prossimo, specie di chi è più fragile, e quindi la perdita della pervicacia creativa che fa escogitare soluzioni a problemi apparentemente insolubili, scovare vie d’uscita dentro a un vicolo cieco”. Invece, è nella solidarietà che diventa vicinanza e sostegno per chiunque soffra il rimedio a chi non spera sia possibile vivere piuttosto che lasciarsi morire. Insomma, “solidarietà” è la parola che anche adesso può illuminare un nuovo pensiero?
LUCIANO COSTA