Visto che l’Epifania, che si celebra oggi, tutte le feste le porta via, sarà il caso di riprendere dimestichezza con il vivere quotidiano, di certo meno allegro e leggiadro di quello che ci ha accompagnato in questo passaggio dal 2021 al 2022, ma non per questo meno intrigante e ricco di novità, speranze, attese e sogni di chissà quale benessere. A Brescia, che è la mia città, si discute di prospettive politiche che verranno come se fossero non solo imminenti (ma un nuovo Sindaco a seguito di elezioni amministrative lo avremo soltanto nel 2023), ma incombenti, cioè pericolosamente orientate a rendere instabile la normale gestione della città. Si parla anche di progetti da portare a compimento – dal tram dei desideri all’ascensore diretto al Castello, dalla metropolitana da allungare alle periferie da riequilibrare, dalla cultura da salvaguardare al dovere di onorare il titolo di città della cultura conquistato sul campo… – e si annunciano magnifiche e coraggiose scelte per far bella, piacevole da abitare e visitare la città. Però a Ludriano, paese della provincia bresciana dove sono nato, la caduta dell’antica torre, bella a vedersi ma lasciata andare a ramengo senza dedicarle neppure un elogio, ha suscitato un’ondata di sdegno e di rimpianti, seguiti da lacrime purtroppo finte e solo di circostanza, tutt’al più adatti per dare sostanza alle cronache, ma certo non a cancellare la vergogna di aver permesso lo scempio concluso con l’inevitabile crollo del “magnifico monumento”.
Questo per rimarcare come da una parte si progetta il futuro immaginando opere e soluzioni adatte a rendere sempre più bella e accogliente la città, mentre dall’altra si lasciano cadere torri, palazzi, chiese e resti di civiltà antica, senza porsi l’eterna domanda sul come sarebbe stato possibile intervenire per evitare il disastro. Di Milano, che è metropoli di riferimento, mi piace raccontare oggi non la sua prevalenza di contagiati da virus (“però da qui passa il mondo degli affari e dei commerci” dicono a giustificazione i meneghini che contano) e neppure i suoi primati nel campo sanitario, ma la sua capacità di mettersi i panni della buona befana per distribuire, secondo antica tradizione, il pane (ma anche il companatico) a chi si trovi nel bisogno. Di Roma, mia e vostra capitale, canto la bellezza, ma subito dopo piango il suo modo di essere genericamente disimpegnata dai cosiddetti soliti fastidi e di avere invece la presunzione di essere comunque accettata e perdonata.
A Roma, se vi interessa, ma deve interessarvi, già si respira quell’aria sottile e sottilmente intrigante che da sempre accompagna l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Ciò non toglie che l’evento sia circondato non solo da trame oscure e da patteggiamenti di cui si vedono soltanto i contorni, ma da vera e propria ignoranza sul come si arriverà all’appuntamento. Per trame e patteggiamenti consultate le cronache; per capire modi e tempi, ripassate le lezioni di storia civica; per destreggiarvi tra date e convocazioni, leggete il riassunto qui di seguito pubblicato.
Detto che la seduta convocata il 24 gennaio alle ore 15 per l’elezione del presidente della Repubblica è unica e si svolge a Montecitorio senza soluzione di continuità per concludersi al momento in cui viene eletto il nuovo capo dello Stato, con votazioni tutti i giorni e, in tempi “normali” anche più scrutini nella stessa giornata, è bene sapere che saranno 2009 gli elettori (tutti i membri del Parlamento ai quali si aggiungono i rappresentanti delle Regioni) del nuovo Capo dello Stato. Il loro compito dovrebbe esaurirsi entro il 3 febbraio, data in cui scade il mandato del Presidente uscente Sergio Mattarella, a 7 anni esatti dal suo discorso di insediamento davanti alle Camere riunite in seduta comune. Quanto alle norme richieste, ecco il dovuto riassunto.
Procedura e requisiti – La nostra Costituzione, trattandosi dell’elezione del garante dell’unità nazionale, favorisce il raggiungimento della più ampia convergenza possibile fra le forze politiche. In base all’articolo 83 viene eletto dal Parlamento riunito in seduta comune, a cui si aggiungono 3 delegati per ogni regione, scelti dai rispettivi consigli regionali, fatta eccezione per la Valle d’Aosta che ne esprime uno solo. Può essere eletto ogni cittadino italiano che abbia compiuto 50 anni e che goda dei diritti civili e politici.
I grandi elettori e il voto – Saranno 1009 (630 deputati, 321 senatori, inclusi i senatori a vita e 58 delegati regionali) i grandi elettori. Il voto è previsto a scrutinio segreto. Nelle prime tre votazioni serve il quorum qualificato di due terzi dell’assemblea parlamentare, equivalente a 673 elettori su 1009. Dal quarto scrutinio, invece, è sufficiente per l’elezione raggiungere la maggioranza assoluta: cioè 505 elettori su 1009. Non parteciperanno al voto i Presidenti di Camera e Senato.
I tempi della votazione – La seduta per l’elezione del presidente della Repubblica è unica. Ciò vuol dire che l’assemblea non si scioglie fin quando non viene eletto il successore al Quirinale. Naturalmente tra una votazione e l’altra sono previste delle interruzioni. I tempi consentono normalmente lo svolgimento di due sedute al giorno, una mattutina e una pomeridiana, ma con il riesplodere della pandemia si renderà necessaria, fra una votazione e l’altra una complessa opera di sanificazione che non permetterà lo svolgimento di più di un voto al giorno. Anche per questa ragione è stato anticipato l’avvio dell’iter.
Le prime tre votazioni – Sono solo due i Presidenti della Repubblica eletti entro i primi tre scrutini: Francesco Cossiga nel 1985 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999.
Il peso degli schieramenti – Nessuno ha i numeri per eleggere da solo il Presidente, neanche dal quarto scrutinio, quando basteranno 505 voti, pari alla metà più uno del grandi elettori. Pesa il ruolo del gruppo misto e di un centinaio che sono collocati in posizione autonoma rispetto agli schieramenti. Il Centrodestra può contare sulla carta su 451 grandi elettori, un vantaggio rafforzato dal peso dei rappresentanti delle Regioni, tuttavia la maggioranza assoluta resta lontana. Sono 197 i parlamentari della Lega, 129 di Fi, 58 di Fdi, 29 di Coraggio Italia-Idea-Cambiamo, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungeranno i 33 delegati regionali. Il Centrosinistra può contare su circa 415 voti (difficile ricostruire la mappa degli attuali orientamenti degli ex M5s) se si esclude il gruppo di “Iv”, mentre arriverebbero a circa 460 se si conteggiasse anche quel partito (43). Il Pd conta 133 grandi elettori, M5s ne ha 233, Leu 18, Azione-+Europa 5, il Centro democratico ha 6 deputati. A questi si aggiungono i 25 delegati regionali. I Senatori a vita in carica sono 6: il presidente emerito Giorgio Napolitano e 5 senatori “nominati”, Mario Monti, Liliana Segre, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia. Il gruppo delle autonomie-minoranze linguistiche conta 4 deputati e 5 senatori. Il Gruppo misto, sempre numeroso, è composto dagli ex M5s di Alternativa c’è (con 19 grandi elettori), Azione-+Europa-Radicali (5), Centro Democratico (6 deputati), Maie (3 deputati, 3 senatori), FacciamoEco (3 deputati), Nci (5 deputati). Nel Misto al Senato c’è anche LeU (6) e tanti altri ex del M5s (24) alla Camera, che risultano non aderenti a nessuna componente, mentre a Palazzo Madama sono nel misto 15 ex M5s, 3 ex 5s (ora Italexit) e 1 un ex 5s (ora con Potere al Popolo).
Partiti in ritardo – In base ai numeri per schieramento è chiaro che ci sono due prospettive possibili per arrivare a eleggere il capo dello Stato. O un voto largamente condiviso, tendenzialmente unanime, come potrebbe ipotizzarsi al momento per Mario Draghi, tenendo conto che non sarebbe comunque una passeggiata, ricordando il precedente simile di Carlo Azeglio Ciampi che a fronte di una quasi totale condivisione fece registrare ben 185 franchi tiratori, superando il quorum di soli 33 voti, in una situazione politica molto meno confusa dell’attuale, che vede ridotto il ruolo dei partiti politici, aumentato il numero dei “battitori liberi” ed accresciuto il timore del voto anticipato (in caso di dimissioni di Draghi dal governo) per via della riduzione del numero dei parlamentari. In alternativa, puntando alla quarta votazione, si tratterà di individuare un candidato in grado di tenere unite tutte le componenti di una coalizione, con potenzialità di fare breccia anche al centro e nello schieramento avverso. Occhi puntati quindi sui renziani, sul gruppo misto e sull’ampia galassia ex M5S, e pare essere proprio questa la prospettiva a cui guarda chi propone Silvio Berlusconi. Ma considerando le difficoltà a tenere unita una coalizione che va dalla destra sfacciata alla destra moderata, in presenza del fuoco di sbarramento opposto da Pd ed M5s, il rischio è quello di bruciare una soluzione condivisa (adeguata alla fase di emergenza che il Paese vive) senza che ci siano – sulla carta – prospettive concrete di successo nemmeno dalla quarta votazione.
Per tutto il resto vale l’antico detto: “Che Dio ce la mandi buona!”.
LUCIANO COSTA
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