Ogni giorno una serie infinita di numeri che dicono, disdicono, riassumono, evidenziano, rattristano, rallegrano; ogni giorno una o cento novità per far sapere che si studiano piani alternativi a quelli improntati all’eccessivo rigore suggerito dalla necessità di non abbassare la guardia nei confronti del virus; ogni giorno mille lamentele per mettere in chiaro che i diritti di uno non sono uguali a quelli di un altro e che i diritti vantati da una categoria sovrastano quelli pretesi da un’altra; ogni giorno un guazzabuglio di parole che nemmeno il più rigoroso dizionario riesce a mettere in ordine; ogni giorno la carrellata di politici, esperti, funzionari, addetti, guardiani, commentatori, imbonitori, agitatori e di chiunque si senta in diritto di mettersi in vista che volendo precisare, di fatto invertono l’ordine dei fattori sapendo che il prodotto non cambia (è una legge matematica), allineando il sei davanti all’uno e facendolo seguire dallo zero, un numero che letto in sequenza annuncerà quel sei uno zero che espliciterà il valore a ciascuno attribuito.
Stamani, dopo un giorno e una nottata di ripensamenti, la montagna ha sciolto l’enigma dei posti a tavola: erano quattro, sono diventati sei al chiuso e potranno essere illimitati all’aperto. Risento, chissà perché, Francesco De Gregori che canta “Viva l’Italia, l’Italia liberata, l’Italia del valzer, l’Italia del caffè…” gustato al tavolino in compagnia, come se bastasse un posto in più per stabilire che siamo usciti dalla crisi. In effetti, l’impressione di essere quasi liberi tutti, è dominante. Grazie alle vaccinazioni fatte, in attesa di richiamo o comunque programmate si guarda al futuro con sfrontata spensieratezza: innanzitutto le vacanze da prenotare e organizzare, poi gli spostamenti del fine settimana, le visite ai siti culturali, la partecipazione ai concerti, il ritorno a teatro, l’emozione della corsa in compagnia di mille o cinquemila maratoneti e, infine, perché no?, il ritorno in chiesa per accomodarsi sui vecchi banchi e vivere insieme la celebrazione della Messa.
Ma, davvero, siamo quasi liberi tutti? La scienza dice “non scherziamo, qualunque azzardo rischia di vanificare tutto ciò che di buono è stato fatto”; invece, la necessità di normalizzare e di rilanciare l’economia fa dire ai gestori della res pubblica che “è tempo di allentare i cordoni e di lasciare correre dove vogliono coloro che troppo a lungo sono stati reclusi in casa”. Insomma, come nella canzone di De Gregori, “viva l’Italia, l’Italia che non muore” e che ogni volta ricomincia da dove è stata costretta a fermarsi, perché quella e non altra è “l’Italia che non ha paura”. Perciò “viva l’Italia, l’Italia che resiste”, che non smette mai di stupire, che si stringe per far posto a qualcuno…
Come cinquant’anni fa (tra il 1973 e il 1974) quando Garinei e Giovannini, ragazzotti spensierati e geniali, misero a tacere i violenti brigatisti rossi e neri inventando, semplicemente, una commedia musicale che divertendo spiegava come era facile sentirsi parte di un tutto pacifico e disposto a fare festa insieme. Allora toccò a Jonny Dorelli, altro ragazzotto spensierato e geniale, cantare e far cantare “aggiungi un posto a tavola / che c’è un amico in più / se sposti un po’ la seggiola / stai comodo anche tu, / gli amici a questo servono / a stare in compagnia, / sorridi al nuovo ospite / non farlo andare via / dividi il companatico / raddoppia l’allegria…”. Allora, ma volendo è possibile anche adesso, allegramente in scena attori e comparse cantavano “la porta è sempre aperta / la luce sempre accesa…/ il fuoco è sempre vivo / la mano sempre tesa… / E se qualcuno arriva / non chiedergli: chi sei? / che vuoi? / E corri verso lui / spalancagli un sorriso / e grida: “Evviva, evviva!” /.
In attesa di ufficialità e di tavolate aperte, la canzonetta è un buon modo per raffigurare un orizzonte sereno. Certo, ci vuole fantasia e spirito di adattamento. Ma siccome di questi ingredienti siamo portatori generosi, allora niente può distoglierci dal credere che un giorno migliore è possibile.
LUCIANO COSTA