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L’Italia che vota, ma anche quella che ricorda

L’ITALIA VA A DESTRA e non da sola. Infatti, la Spagna e la Turchia, due Stati tra tanti, hanno votato come lei e altrove la tendenza è quella. Però… è davvero una virata voluta dalla massa o solo una virata sostenuta dal non voto – astensione, fuga, rifiuto, disimpegno, allontanamento, menefreghismo, lasciar fare, allontanarsi, nascondersi, far finta di niente… che invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia… – che nell’occasione ha superato il fatidico cinquanta per cento? Ognuno dica la sua. Però… ancora, balza all’occhio e preoccupa quel che siamo diventati. Certo liberi, democratici, globali e mondialisti, ma soprattutto egoisti felici di star bene da soli, dimentichi di ciò che nonni e padri hanno lasciato in eredità: la Repubblica fondata sul lavoro e sulla partecipazione di tutti e una Costituzione che dettando le regole indica la strada da percorrere se si vuole restare liberi, democratici, globali e mondialisti… Dicono i titoli dei quotidiani (quasi all’unanimità, quindi con scarsa attenzione ai reali problemi che sottendono al voto espresso domenica) che il voto è stata una partitella giocata unicamente tra la Giorgia e la Elly: di una destra senza se e senza ma la prima; di una sinistra allo sbando la seconda. Però… ancora, quel meno del cinquanta per cento che ha votato, davvero può essere considerato rappresentativo dell’intero popolo italiano? La democrazia non ammette dubbi. Vince chi vota e chi non vota lo fa a suo rischio e pericolo. Per la cronaca, il primo scontro elettorale tra la Meloni e la Schlein ha segnato La vittoria netta della prima e premier. La destra ha perso a Vicenza ma in compenso s’è preso tutto il resto. Fine del discorso e inizio di un’altra stagione di verifiche. Troppo facile ironizzare sulla sconfitta di un centro sinistra incapace di fare la differenza e di tenere unita la coalizione, ma la conta dei voti vale di per sé un giudizio negativo.

L’ITALIA CHE RICORDA e che ricordando offre al mondo il suo lato migliore, ha assistito ieri alla consegna a Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, del Premio Paolo VI, nato per iniziativa dell’Istituto Paolo VI di Brescia al fine di segnalare personalità eminenti che si sono distinte nei diversi ambiti della cultura e nella promozione di una convivenza umana giusta e, in modi diversi, testimoniano la vitalità dell’eredità spirituale di papa Montini. Consegnano il premio, papa Francesco ha definito il Presidente della Repubblica italiana “maestro e testimone coerente e garbato di servizio e responsabilità”. Mattarella, con grande umiltà, si è detto “grato e commosso” del riconoscimento e ha annunciato di voler devolvere la somma collegata al Premio alla Comunità Giovanni XXIII, nata in Emilia-Romagna e che nella recente alluvione ha subito ingenti danni in alcune sue strutture.

Nel discorso che ha preceduto la consegna del premio, papa Francesco ha parlato essenzialmente di servizio e di carità che diventa solidale partecipazione ai destini del mondo. “Il servizio – ha detto il Pontefice – rischia però di restare un ideale piuttosto astratto senza una seconda parola che non può mai esserle disgiunta: responsabilità. Il servizio cammina a pari passo con la responsabilità. Essa, come indica la parola stessa, è l’abilità di offrire risposte, facendo leva sul proprio impegno, senza aspettare che siano altri a darle. Quante volte, Signor Presidente, prima con l’esempio che con le parole, lo ha ribadito… Anche in questo non si può che notare la sua feconda affinità con Giovanni Battista Montini, che fin da giovane prete fu educatore di responsabilità. Da Papa, poi, scrisse che le parole servono a poco se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità”. A proposito di responsabilità, ha sottolineato Francesco “penso a quella componente essenziale del vivere comune che è l’impegno per la legalità… Essa richiede lotta ed esempio, determinazione e memoria, memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la giustizia; penso a suo fratello Piersanti, Signor Presidente, e alle vittime della strage mafiosa di Capaci, di cui pochi giorni fa si è commemorato il trentennale”.

Poi, la Pace, da cercare e costruire. “San Paolo VI – ha sdetto il papa – sentì l’importanza della responsabilità di ciascuno per il mondo di tutti, per un mondo diventato globale. Lo fece parlando di pace, lo fece esortando a lottare senza rassegnarsi di fronte agli squilibri delle ingiustizie planetarie, perché la questione sociale è questione morale e perché un’azione solidale dopo le guerre mondiali è veramente tale solo se è globale. Oltre cinquant’anni fa, avvertì l’urgenza di fronteggiare le sfide climatiche, davanti alla minaccia di un ambiente che sarebbe diventato intollerabile all’uomo in conseguenza della distruttiva attività dell’uomo stesso che, spadroneggiando sul creato, si sarebbe trovato a non padroneggiarlo più”.

Poi, la solidarietà da rendere attiva e visibile. “Il senso di responsabilità e lo spirito di servizio – ha ribadito papa Francesco -, per San Paolo VI erano alla base della costruzione della vita sociale. Egli ci ha lasciato l’impegnativa eredità di edificare comunità solidali. Era il suo sogno, che si scontrò con vari incubi diventati realtà – penso alla terribile vicenda di Aldo Moro -; era il desiderio ardente che portava nel cuore e che espresse nei termini di comunità, di partecipazione e di vita, animate dall’impegno a prodigarsi per costruire solidarietà attive e vissute. Non sono utopie, ma profezie; profezie che esortano a vivere ideali alti. Perché di questo oggi hanno bisogno i giovani. E sono lieto, Signor Presidente, di farmi strumento di riconoscenza a nome di quanti, giovani e meno giovani, vedono in Lei un maestro, ma soprattutto un testimone coerente e garbato di servizio e di responsabilità”.

Il presidente Mattarella, parlando prima del discorso del papa, ha detto d’esser convinto che il Premio Paolo Vi “sia un’occasione per porre in evidenza più che il destinatario del premio la figura di Paolo VI e il suo straordinario contributo alla chiesa e dalla chiesa all’Italia e al mondo… Le Encicliche paoline – Octogesima adveniens e Populorum progressio soprattutto – e il discorso alle Nazioni Unite sono stati fondamentali punti di orientamento per me e una moltitudine di persone. Con i suoi insegnamenti, Paolo VI ha collocato e trasmesso in una visione armonica chiara e compiuta fede, dignità umana, libertà e pace… E’ stato il papa del passaggio dalla mia giovinezza all’età matura e anche il mio vescovo… Per questa ragione e tante altre avverto in alta misura l’onore di ricevere il premio a lui intitolato e non possono nascondere la commozione di riceverlo dalle mani del Santo Padre”.

LUCIANO COSTA

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