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Lo scandalo degli uccellini in padella…

Ci sarebbero questioni ben più rilevanti e preoccupanti di cui occuparsi (il virus che sta mettendo a nudo le fragilità di un sistema mondiale che si credeva perfetto e che invece resta tragicamente imperfetto, le pretese dei dittatori, le guerre conosciute e sconosciute, i morti ammazzati, i disperati inghiottiti dal mare, i milioni di profughi in fuga dai loro paesi senza alcuna possibilità di trovare nuova dimora, i violenti che sparano all’impazzata, i giudici americani che condannano i poliziotti violenti, i timori dell’Ukraina di essere il nuovo frutto che la Russia vuole impunemente cogliere…), ma la foga con cui la merenda (in cui figuravano anche uccellini in padella) organizzata in pausa pranzo da alcuni sprovveduti dipendenti di un Ente pubblico bresciano (la Comunità montana di Valle Trompia) è stata raccontata e sventolata dai media è di quelle che se da una parte inquietano, dall’altra dimostra la comodità e lo strapotere di qualsiasi  denuncia anonima. E’ inquietante che in un Ente Pubblico possa accadere che al classico panino della pausa pranzo si sostituisca un arrosto a base di uccelli e uccellini ed è altamente deplorevole che attorno a quella padella abbiano stazionato in tanti. Lascia perplessi, invece, la facilità con cui una denuncia anonima trovi udienza e applicazione. “Così vuole e permette la legge”, dicono gli esperti. Sarà. Però, quanta tristezza suscita quel gesto anonimo!

Tra le lettere pubblicate ieri da un giornale bresciano, una chiedeva il licenziamento in tronco dei partecipanti alla merenda e l’azzeramento dei vertici dell’Ente. Sempre ieri, un onorevole parlamentare ha interrogato il Governo per sapere se, come e quando interverrà per punire i merenderi o, addirittura, azzerare quell’Ente pubblico reo di aver concesso spazio, magari senza colpa apparente, a una pausa pranzo non propriamente limitata al classico panino (ovviamente, sempre sia vero che lì si banchettava e si faceva bisboccia). E ancora ieri la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia ha aperto un’inchiesta per identificare i mangiatori di uccellini e i loro compari. Così, quella che doveva essere una pausa pranzo arricchita da qualche boccone portato da casa è diventata un incubo che, almeno per il momento, sembra essere senza uscita. La spifferata velenosa, che annunciando ai tutori dell’ordine assembramenti, tavolate e cibo a dir poco discutibile (uccellini dal becco fino, tre a testa così che la gola fosse se non sazia almeno soddisfatta) tra le austere sale di una pubblica Istituzione (la Comunità Montana di Valle Trompia), chiedeva un esemplare e severo intervento giustamente punitivo, è uscita dall’alveo valligiano ed è andata a inondare le redazioni, che prontamente hanno ricamato i contorni e gettato benzina sul fuoco.

Un lettore amico, che conosco e apprezzo, forse turbato dal gran baccano suscitato o forse soltanto in vena di scherzare, mi ha mandato una riflessione, scritta alla maniera di Omero, l’autore di Odissea, che in poco racchiude tanto. Dice: “Cantatemi o spie dell’indigesta merenda, che infinite vergogne addusse all’intera Valle Trompia, contorni astuzie e segreti. Ditemi, chi mai armò la mano del delatore? Chi nell’ignara padella mise quegli uccellini dal becco fino? Chi decise che mangiarli si doveva proprio in quel dì e giusto in quell’ora del giorno? Ditemi anche, se potete e volete, ne valeva la pena, o col senno di poi era meglio darsi appuntamento in qualche cantina fuori mano, senza dir nulla a nessuno, impendo così al prode delatore, che di certo aspettava l’attimo propizio per dispensar lezioni e impartire punizioni, di imbastire la sua vendetta?”.  

Se possedete arguzia non infarcita d’astuzia, avrete certo notato che la faccenda l’ho messa più sul faceto che sul serio. Infatti, il rischio di vedere un piccione azzoppato impedito a volare, o una peppola, un’allodola, magari un pettirosso o un lucherino, oppure un frosone e in aggiunta un fringuello e un usignolo “morti ammazzati” per mano di qualche predatore, far più rumore di un vecchio, di un bambino o di un disperato abbandonati al loro destino, m’è parso tanto grave da impormi severissime riflessioni sull’umana condizione e sul destino che la sovrasta; ma anche sul modo con cui noi umani ci raffrontiamo e confrontiamo con gli animali.

Sia chiaro: mi piacciono gli animali, ma li vorrei nel loro ambito e non disseminati a casaccio tra me e chi accanto a me occupa il medesimo spazio; non ho mai cacciato, però conoscevo cacciatori che invitandomi alle loro spedizioni accettavano che fossi difensore dell’occasionale fagiano fino al punto che per preservarlo lo mettevo in fuga prima che lo raggiungessero coi loro perfidi strumenti di guerra (ai volatili, s’intende); sono stato invitato a gustare spiedi di ogni dimensione e contenuto e quando accadeva era una festa (allora ancora permessa); conosco amanti della natura che pur difendendo mosche e moscerini lucertole, uccellini e cinghiali in libera uscita ammettono felicemente che la loro libertà finisce dove incomincia quella di chi non la pensa come loro. In tempi remoti ho anche sopportato strali e qualche velata minaccia.

Accade ai tempi del referendum che chiedeva al popolo di esprimersi pro o contro la caccia, quando nel corso di uno di quei dibattiti televisivi che tentavano di spiegare le posizioni delle diverse parti in causa, forse esasperato dalle polemiche e dalla pretesa generalizzata di imporre le proprie ragioni escludendo qualsiasi opinione contraria, o forse perché ero conduttore e quindi deputato a mantenere il confronto almeno a livelli civili e a consentire analisi e proposte piuttosto che accavallamenti inconsulti di parole e insulti, dissi ad altissima voce – unico mezzo per zittire i contendenti – di essere fermamente convinto che anche l’insalata e gli altri abitanti dell’orto avessero un’anima e quindi qualche ragione da vendere.

Ragion per cui l’insalata e i suoi amici dell’orto dovevano entrare di diritto tra le specie protette e perciò non utilizzabili per fini goderecci o dietetici. Verdi, ambientalisti e affini si offesero, mi accusarono di provocazione meditata e abbandonarono la scena; i cacciatori e gli amici della caccia, perplessi e di certo non pienamente convinti che l’azzardo proposto tornasse a loro vantaggio, applaudirono e invocarono spazio per l’insalata. Tale apertura, ma lo capii solo dopo, non era frutto di improvviso ripensamento, ma la riprova che accanto al cacciato e cucinato non dovevano e potevano esserci insalate et similia.

Tutto questo in attesa che la giustizia faccia il suo corso. Poi, una volta appurati i fatti, chiariti i contorni e precisati i numeri dei becchi fini sacrificati dai merenderi, rileggerò l’accaduto così da consegnarlo alla storia in tutta la sua gravità o in tutta la sua stupida superficialità.

LUCIANO COSTA.

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