Oggi è il secondo giorno del mese di Tishrì, quello in cui si completa il capodanno ebraico, che è una celebrazione prescritta dalla Torah (la legge che guida e illumina l’ebraismo), quindi ufficiale e importante se non per noi, che di ebrei sentiamo parlare sempre e soltanto quando si ricordano gli anni bui del nazismo (sei milioni di ebrei morti nei campi di sterminio), almeno per la storia, che a quel popolo assegna una parte rilevante. Immagino che possa interessare a ben pochi mettere ordine in questa storia, sono però anche convinto che sapere-approfondire-conoscere equivale a evitare luoghi comuni (“ebrei, vil razza dannata…” per esempio, oppure “ebrei strozzini…”, o “figli di un dio minore”, quindi “indegni e rinnegati…” e via discorrendo) per rendersi conto che al popolo ebreo, nonostante l’evoluzione dei tempi, il mondo non ha ancora riconosciuto piena dignità.
“Esiste il popolo ebreo – ha scritto uno storico -, ma la sua è ancora un’esistenza precaria, di quelle che inducono a fare da sé quello che dovrebbe essere compito condiviso”. Per la storia e la cronaca gli ebrei sparsi nel mondo sono oltre quindici milioni: di questi, sette milioni vivono in Israele, gli altri in varie nazioni, soprattutto negli Stati Uniti d’America. Per quindici milioni di persone, dunque, oggi inizia un nuovo anno. Però, non esiste una celebrazione particolare che lo contraddistingue. Si ricorda l’anno 5782 dall’inizio della loro storia (liberazione d’Israele dalla schiavitù) e tanto vale per richiamare l’attenzione di tutti su quel lembo di terra contesa e mai del tutto pacificata.
Tuttavia, diversamente da Pesach (Pasqua), quando si celebra la partenza dei figli d’Israele dall’Egitto e si festeggiano l’inizio della primavera e la raccolta dell’orzo, e da Shavuot (Pentecoste), quando si celebra la raccolta dei primi frutti e l’inizio della mietitura del grano, la Torah non indica una ragione specifica per cui il nuovo anno debba essere celebrato all’inizio del settimo mese, ovvero quello di Tishrì (i mesi vengono contati a partire da quello in cui gli ebrei ottennero la libertà dalla schiavitù in Egitto).
Perché allora il nuovo anno inizia nel settimo mese?
La risposta può essere individuata nel fatto che Rosh Ha-Shanah (il “capodanno”) viene celebrato insieme con il Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur) e con Sukkoth (“capanna”) nello stesso settimo mese di Tishrì. Ed esiste un motivo preciso che collega queste tre feste. Sukkoth, che è l’espressione dei cicli della natura e della vita, viene celebrata il 15 di Tishrì, per sette giorni con l’aggiunta di altri otto giorni di gioia, segna la fine di un ciclo di lavoro agricolo e l’inizio del tempo di arare, seminare, attendere con ansia la pioggia, vedere germinare e crescere il raccolto quando il contadino si rallegra nel vedere i frutti delle sue fatiche. Yom Kippur, che cade il decimo giorno del mese, è il tempo in cui Dio assolve dagli errori e dai peccati commessi, ma non può esserci assoluzione da parte di Dio se prima non ci sono stati pentimento e contrizione da parte degli uomini; e il pentimento deve avvenire in modo più intenso per poter arrivare a Yom Kippur come persona ravveduta che ha compiuto passi per diventare un essere umano migliore.
Però e innanzitutto, c’è il Rosh Ha-Shanah, il giorno dedicato a tutti gli individui, come parte della grande famiglia umana, per celebrare l’avventura della loro esistenza, ma anche “il giorno in cui è stato creato il primo essere umano, in cui gli è stato fatto divieto di mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, divieto al quale ha trasgredito, e in cui Dio lo ha giudicato e assolto” e che si consegna alla storia come il giorno in cui “Dio ha assolto Adamo” e che, con la stessa misericordia “assolverà le persone che sanno come ritornare a Lui”.
Da qui, per il popolo ebraico, incomincia e ricomincia il tempo per interrogarsi sul senso dell’esistenza. “Tuttavia – scrive lo storico ed esperto del mondo ebraico -, l’intricata bellezza della natura e la capacità degli esseri umani di ammirare e scoprire le leggi che la governano, le grandi costruzioni umane, il costante miglioramento della tecnologia, la continua conoscenza acquisita nelle scienze sono tutti segnali che l’esistenza dell’individuo non può essere vista come mera routine ripetitiva o insignificante. Ragion per cui, l’affermazione dell’Ecclesiaste che dice “non c’è niente di nuovo sotto il sole”, non può essere applicata a ogni tempo, né può essere applicata alla scoperta dell’amore…”.
Infine, è bene sapere che siccome la parola ebraica usata per indicare “anno” è “shanah”, che dignifica cambiamento ma anche di ripetizione, spetta a ogni persona “scegliere tra i due modi di concepire la vita: optare per il cambiamento e il rinnovamento al fine di migliorare la nostra condizione umana o rimanere in circoli ripetitivi di mediocrità”.
Vale per gli ebrei. ma anche per chiunque voglia interrogarsi sul significato del vivere.
L. C.