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Lo sviluppo sostenibile? È in crisi…

… e rischia di restare un’ipotesi per la maggioranza delle Nazioni. In più, su tutto incombe il rischio di un nuovo disastro nucleare. “Dopo sessant’anni, vale a dire dal tempo della crisi Cuba-Usa fomentata dall’allora Unione Sovietica – ha detto ieri il presidente Usa – la minaccia dell’atomica torna a inquietare il mondo”. La minaccia giunge oggi dalla Russia di Putin… Impossibilitata a vincere la sua battaglia di aggressione, incapace di smetterla di fare la guerra, chiusa a ogni ipotesi di ritiro e negata a qualunque discorso di pace, la Russia del folle Putin manda l’atomica dove abusivamente ha posto la sua bandiera, confini subdoli e non riconosciuti, e minaccia di usarla… “Dio non voglia che si debba di nuovo misurare l’orrore sulla pelle degli innocenti…”: il grido angosciante si rinnova e chiede ascolto…

Forse c’è ancora tempo – poco e debole – ma sempre meno. Poi… Poi i conti, se non ci sarà una netta inversione, saremo obbligati a farli non più su ipotesi di utilizzo della bomba, ma sui detriti e sulle distruzioni causati dalla bomba. Eppure, mentre in Ucraina si muore e viene meno la speranza di tornare alla normalità (che si chiama “pace” e che deve essere cercata costi quel che costi) in qualche parte del globo qualcuno, coraggioso e testardo, parla di “sviluppo sostenibile” e degli obiettivi che l’Onu ha indicato come irrinunciabili se si vuole dare futuro al pianeta. Impegno di tutti, però disatteso da tanti. Invece, perché quegli Obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Onu non restino lettera morta, tutti dovrebbero fare la propria parte, Italia compresa, che la sta facendo, però in ritardo, sballottata – come gran parte del pianeta, certamente – da una pandemia a una guerra in Ucraina, da disuguaglianze sociali sempre più imbarazzanti a un consumo del suolo e a una gestione delle risorse idriche a volte egoistici, a volte nevrastenici.

Siamo migliorati, nell’ultimo biennio, quanto ad energia pulita e lavoro dignitoso; «galleggiamo» verso il raggiungimento di altri due obiettivi (lotta alla fame e al cambiamento climatico, sugli stessi livelli del 2019). Ma per tutti i restanti obiettivi dell’Agenda 2030 (tra gli altri, lotta alla povertà, istruzione di qualità, parità di genere, acqua pulita, riduzione delle disuguaglianze) il livello registrato nel 2021 è al di sotto di quello di due anni fa. Siamo lì, insomma. In mezzo alla carreggiata e con le quattro frecce. In attesa di quello che, si spera, possa essere un cambio di passo, pena l’indecisione permanente.

A mostrarcelo, in maniera netta, è lo scenario tracciato dal Rapporto annuale dell’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, presentato nei giorni scorsi al Festival dello Sviluppo Sostenibile. Un documento che non nasconde, e anzi sottolinea, la crisi sistemica del modello di sviluppo dominante, una crisi accelerata dalla pandemia, dalla guerra in Ucraina, dai cambiamenti climatici. Una crisi che aumenta le disuguaglianze sociali e drammaticamente impatta sullo sviluppo sostenibile del pianeta. E che ci chiama in causa, ancora più di prima, perché senza un cambiamento non c’è un futuro possibile. «La pandemia da Covid-19 – si legge nel rapporto – sta continuando ad avere un impatto grave sui progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile in tutto il mondo. L’aggressione della Russia all’Ucraina ha causato nel mondo forti ricadute sociali ed economiche, aumentando la fragilità del sistema multilaterale globale. Questo impedisce di ridurre le disuguaglianze all’interno dei Paesi e tra di essi».

La pandemia ci ha frenato, insomma. E ora la guerra rischia di impantanarci. Per questo bisogna provare in tutti i modi a ripartire, innestando una marcia nuova e trovando un sentiero percorribile. «Dal 2019 al 2021 – ha sottolineato la presidente dell’ASviS Marcella Mallen – registriamo un aumento delle disuguaglianze di reddito, una crescente difficoltà del sistema sanitario di rispondere alle esigenze dei cittadini, specialmente dei più deboli, e un arretramento degli indicatori ambientali, in particolare quelli sul consumo di suolo e sulla gestione delle risorse idriche». È il tempo della svolta, di abitare il pianeta in maniera diversa. Le proposte, anche dall’ASviS, non mancano, riassunte in quel «dieci idee per un’Italia sostenibile» da realizzare nella prossima legislatura e a suo tempo consegnato ai partiti impegnati nella campagna elettorale. C’è, tra l’altro, da «assicurare la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile», «impegnarsi per la giusta transizione ecologica», «tutelare la salute con un approccio integrato», «rendere più sostenibili ed equi i territori».

Secondo gli esperti «il rapporto conferma che stiamo superando la soglia tra un periodo storico in cui la crescita di produzioni e consumi, seppur con molte contraddizioni, generava un’analoga diffusione del benessere, dei diritti e della giustizia sociale a un nuovo periodo in cui la generazione della ricchezza economica porta benefici a una fascia di popolazione progressivamente più ristretta».

Vale a dire che questa è l’era delle disuguaglianze, quella che rischia di dominare a lungo lo scenario in cui siamo immersi. Però, un cambiamento è ancora possibile. Servono coraggio e lungimiranza, è poi necessario, come ha scritto il Presidente Mattarella nel messaggio inviato agli esperti riuniti per la presentazione del rapporto «creare una diffusa cultura della sostenibilità, fondamento di un’economia equilibrata e inclusiva a beneficio della collettività». Ma bisogna fare in fretta, perché quel ritardo non si trasformi presto, e definitivamente, in un divario incolmabile.

FABRIZIO LUCIANI

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