Eccola in prima pagina (su l’Osservatore Romano) la più grande ingiustizia, la più assurda pagina dell’esistenza umana, la più drammatica dimostrazione delle differenze esistenti tra popoli uguali. Dicono le poche righe che accompagnano l’immagine di un bambino disperato: “Nel mondo circa 150 milioni di bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione cronica. Più di 45 milioni soffre invece di malnutrizione acuta, di cui 13,6 milioni in modo grave. La malnutrizione cronica è in declino stabile dal 2000 (dal 33,1% al 22%), ma i progressi sono troppo lenti, mentre la malnutrizione acuta persiste a tassi allarmanti (6,7%). Questa la diagnosi drammatica contenuta in un rapporto pubblicato dall’Unicef (il fondo Onu per l’infanzia), dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità) e dalla Banca mondiale. Un documento importante, che svela impietosamente le contraddizioni del nostro tempo: tra i minori di 5 anni nei Paesi sviluppati il sovrappeso è in aumento (dal 5,4% nel 2000 al 5,7% nel 2020)”.
Non servono commenti, piuttosto, scrive la Caritas, “è necessario passare dalle parole ai fatti”. Un fatto concreto, dicono gli esperti, sarebbe l’abolizione del debito che i Paesi poveri, quelli del sottosviluppo, hanno accumulato nei confronti dei Paesi ricchi, quelli del benessere; un altro passo verso un sistema che garantisca pari opportunità e pari dignità alle popolazioni del mondo potrebbe essere la riscoperta del superfluo come valore di condivisione; anche un diverso modo di intendere il possesso dei beni materiali servirebbe, dicono ancora gli esperti, a ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi ha troppo poco. “Ma è tutto inutile – mi ha detto ieri un brontolone cronico al quale proponevo una riflessione più ampia sui giorni vissuti -, se non si incomincia qui e adesso a considerare la parità un diritto e non una casuale opzione”. Un altro partecipante al simposio del venerdì, notoriamente critico nei confronti del buonismo che secondo lui caratterizza Chiesa, Papa, Vescovi, Preti e Suore, ha messo in circolo il solito ritornello, quello che dice “prima usate le ricchezze vostre (di voi cristiani, immagino), poi se ne parla”.
Mi è allora venuto alla mente che nei prossimi giorni tornerà di attualità il cosiddetto “obolo di San Pietro”, quello che ai fedeli, ma anche agli infedeli, di tutto il mondo propone di mettere un’offerta a disposizione di chi nel mondo aiuta i poveri e i disperati a essere meno poveri e meno disperati. Al grido di “aiutiamo il Papa ad aiutare si apre dunque la colletta (raccolta benefica, se preferite) per sostenere la carità. Ma, in concreto, a che cosa serve l’Obolo di San Pietro? “Tutto quel che viene raccolto e donato – dice una nota di Vatican news – si trasforma in azioni di carità. Per esempio, nel 2021 e fino ad oggi l’Obolo ha ricevuto 21 milioni di euro in donazioni. Di questi, 8 milioni di euro sono stati distribuiti per l’evangelizzazione o per progetti sociali a sostegno delle Chiese bisognose, principalmente in Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina… Poi, la carità del Papa si espande fino a riguardare la missione di unità nella carità…”. Tutto facile e, soprattutto costante? Non proprio. Infatti “tra il 2015 e il 2019 la raccolta legata all’Obolo è diminuita del 23%. Oltre a questa diminuzione, nel 2020, il primo anno di covid, le entrate dell’Obolo sono state inferiori del 18%. “Ed è probabile – dicono in Vaticano – che la crisi legata alla pandemia si faccia sentire ancora quest’anno”. Per dirla con l’amico scettico e brontolone, “ognuno ha i suoi problemi e se li tiene…”. Però, insomma, davvero la questione può essere racchiusa nella battuta più scontata e pericolosa? Io credo di no. Ma questo non cambia la questione. Questa la si cambia insieme, magari immaginando un mondo pacifico in cui tutti, ma proprio tutti, abbiano la possibilità di considerarsi uguali.
Ho letto appena adesso che nel mondo non ci sono soltanto i Paesi che fanno la guerra, ma anche i Paesi che coltivano la pace. Questo indice di pacificità si chiama “Global peace index” e nasce come tentativo di calcolare l’attitudine di un determinato paese sovrano a essere considerato pacifico. L’indice è prodotto dall‘Institute for Economics and Peace (IEP) in collaborazione con un’equipe internazionale di esperti di pace ed è basato su dati forniti e rielaborati dall‘Economist Intelligence Unit, una società di ricerca e consulenza che fornisce analisi sulla gestione di stati e aziende.
L’indice in questione è composto da 23 di indicatori quantitativi e qualitativi divisi in tre tematiche principali:il livello di sicurezza sociale, il livello di conflittualità interno ed estero e il grado di militarizzazione. Secondo questo indice lo stato più pacifico del mondo rimane saldamente l’Islanda, che detiene il primato dal 2008, seguita da Nuova Zelanda, Danimarca, Portogallo e Slovenia. L’Italia è al trentaduesimo posto ed è superata dal Qatar (29esimo), dalla Malesia (23esima) e dal Buthan (22esimo). L’Europa resta il continente più pacifico. Molto indietro i due stati che hanno fatto della politica estera aggressiva un cavallo di battaglia,gli Stati Uniti e la Russia, che sono rispettivamente 122esimo e 154esimo. Pessima posizione anche per un’altra nazione che negli ultimi anni ha dimostrato di avere velleità espansionistiche come la Turchia (149esima).
In Africa, il continente più instabile geopoliticamente, i Paesi più in alto nella classificazione sono, in ordine, Mauritius (28esima), Ghana (38esimo), Botswana , Sierra Leone (46esima), Gambia (53esimo) e Senegal (54esimo) e Tanzania (58esimo). I fanalini di coda Libia (156esima), Repubblica Democratica del Congo (157esima) e Somalia (158esima). Nessuno stato africano è considerato pienamente pacifico, anche se le ultime tre posizioni non appartengono a nazioni di questo continente.A chiudere la lista infatti ci sono tre Paesi dell’area mediorientale che si conferma la zona con il tasso di pacificità più basso al mondo. In particolare si tratta di nazioni che hanno una storia recente molto complessa e turbolenta, come Siria (161esima), Yemen (162esimo) e, per la quarta volta consecutiva in ultima posizione l’Afgahnistan (163esimo).
Dopo aver letto e constatato che nel mondo non ci sono soltanto Pesi guerrieri ma anche Paesi pacifici, mi sono chiesto: quando sarà possibile vedere solo pace e concordia? Forse mai. Oppure già da domani, dopo aver messo anche un solo un centesimo a disposizione dell’Obolo di San Pietro, che sarà pure dedicato a un santo, ma che arriva dove la miseria i santi non li conosce.
LUCIANO COSTA