Ho rispetto per gli avvocati, ma dire che sono troppi è un’ovvietà talmente ovvia che nessuno di loro può offendersi nel sentirla proclamare. “Ridendo e scherzando – diceva parecchi anni fa Giulio Onofri, di sicuro un avvocato atipico –, noi che il cittadino lo difendiamo dai soprusi e dalle distorte letture della legge, visto quanti siamo, dovremo fare metterci insieme e sperare di avere almeno il minimo necessario per vivere”. Giulio scherzava, ma non troppo. Di fronte a lui aveva Mino Martinazzoli, allora Ministro della Giustizia, anche lui avvocato, e il tema della simpatica discussione era il numero degli avvocati. Secondo Mino ne bastava la metà; secondo Giulio, se non proprio la metà di sicuro meno di quelli sul mercato. “Però – sghignazzava il Ministro –, poi chi andrà spiegare al contadino che litiga col vicino per via dei rami che scendono sul suo campo che deve arrangiarsi, che non deve incomodare la legge per simile facezie…”. Secondo Giulio, per casi di conclamata irrilevanza, sarebbe bastato dare la competenza al sindaco. “Appunto – rispondeva Mino -, ma chi glielo dice al sindaco che la sua poltrona traballerà al solo pensiero di doversi mettere tra i due litiganti?”. Allora, concludevano in coro, si vada avanti così. Insomma, “avvocati, crescete e moltiplicatevi!” e che il cielo vi sia benigno. A quel punto, non avendo altro da aggiungere, c’era il tempo per una fetta di salame e quattro sincere risate.
Giulio era un avvocato affermato, bravo e competente e forse proprio per questo poteva permettersi di guardare alla platea dei colleghi e dire: “Siamo davvero tanti, troppi…”. Era anche un buon politico, un mediatore più che un conquistatore di poltrone, quindi lontano mille miglia da ogni idea che lo portasse fuori dai suoi confini. Preferiva il suo Comune. Poi faceva l’avvocato… cercando di trovare accordi eludendo scontri e ripicche. Ho pensato al suo modo di essere avvocato rileggendo ieri quel che cento anni fa, sui “Quaderni della Voce” di Giuseppe Prezzolini, un giovane Piero Calamandrei pubblicava col titolo “Troppi Avvocati!”, un libretto in cui, senza troppo indulgere a giustificazioni, sosteneva che “la presenza in Italia di così tanti legali produceva un’elefantiasi patologica degli ordini forensi”, che a sua volta porterà a “una esasperata lotta per l’esistenza” tra i professionisti della legge, “con il risultato finale di un degrado della professione”.
Quando il grande giurista mandava in stampa il suo saggio, in Italia c’erano 39,4 milioni di abitanti e 25mila avvocati. Oggi gli italiani sono 59,3 milioni e gli avvocati 246mila. Se erano troppi cento anni fa, nel 2021 sono esorbitanti. Ormai discutere del problema quantitativo della categoria degli avvocati ci spinge a perdere di vista il cuore della questione. Che gli avvocati siano tanti è un dato di fatto. Ma oggi è opportuno ragionare su quali avvocati sono sul mercato: la professione forense negli ultimi 20-30 anni si è molto evoluta e differenziata.
Se consideriamo che esistono tante “avvocature” vediamo che gli avvocati in Italia forse sono “un po’ meno troppi”. Il punto è che 246mila avvocati che fanno la stessa cosa sono certamente troppi, e lo conferma il fatto che ci sono ancora molti avvocati in condizioni economiche quantomeno problematiche, con il 40% di loro che guadagna meno di 10.300 euro all’anno. Ma se invece questi legali sono divisi in aree di specializzazione ben definite il problema della sovrabbondanza si ridimensiona drasticamente.
Nel nostro Paese c’è ad esempio carenza di avvocati specializzati nelle aree più classiche: sono pochi gli amministrativisti e i tributaristi, due ambiti che richiedono un livello di assistenza sempre crescente. Servono poi sempre più professionisti sul tema della compliance (condiscendenza, conformità, rispetto delle regole), ormai fondamentale per tutte le aziende. E c’è bisogno di avvocati specializzati sull’evoluzione tecnologica: la dimensione digitale delle nostre vite, che si espanderà ancora con realtà come le criptovalute o il metaverso, dal punto di vista legale è una prateria gigantesca. Chi ci si avventura oggi e nei prossimi anni avrà bisogno del supporto di avvocati competenti.
Serve dunque formare nuovi avvocati. Non è questione di numeri, dicono gli esperti, ma di sostanza. Per fare questo la formazione ha un ruolo centrale se si vogliono avvocati in grado di stare sul mercato del futuro. «Ci sono università che si stanno adoperando per formare giuristi contemporanei – spiegano gli esperti –. Per esempio la Bocconi, la Cattolica o la Statale a Milano, o gli atenei di Pavia, Padova, Bari e Trento. Occorre lavorare a un allineamento dell’offerta formativa, per includere ovunque i temi del digitale e dell’evoluzione del mercato dei servizi legali”.
Ad esempio non si può non considerare l’esplosione del mercato dell’avvocatura d’affari, che era ancora piccolo 25 anni fa e che oggi vede le prime 50 realtà del settore fatturare complessivamente 2,5 miliardi di euro. “È un settore che è stato capace di vedere come cambiavano le esigenze dei clienti e adeguarsi. Quando si è capaci di fare incontrare domanda e offerta –dicono sempre gli esperti – gli avvocati non sono forse abbondanti, ma non certo in esubero”.
L. C.