Gli schieramenti elettorali nella loro forma definita li vedremo a fine settimana. Per adesso, genericamente, si dice centro-destra e s’intende tutto ciò che sa di conservatorismo sfacciato e nostalgico: e se si dice centro-sinistra s’intende un’accozzaglia di vecchi schieramenti comprendenti comunisti, nuovi comunisti, ex comunisti, comunisti pentiti, socialisti in ravvedimento, laburisti in itinere e democratici disposti a tutto pur di tenere insieme una combriccola in via di disfacimento; ma se si dice terzo polo s’intende riunire sotto un’ipotetica bandiera pseudo liberale progressista con sfumature popolari, tutto quel che resta sul mercato. Nessuno s’illude, tutti però credono di possedere quel di più che fa la differenza. Illusi! Dietro l’angolo, tutti costoro, troveranno dissenso e, soprattutto, voti non dati, raffigurazione esatta dell’astensione, questa volta pronta a sbaragliare il campo lasciando sul terreno il peggio del peggio. Non è questione di questo o quello o quell’altro, ma di idee e programmi degni di raffigurare un buon futuro. Per adesso, idee e programmi non li vedo. Vedo invece personaggi in cerca di visibilità che dicono e disdicono, tutti pronti a giurare di lottare per il bene del Paese… Ma c’è qualcuno che crede ancora a queste favolette?
L’unica cosa probabilmente certa, per il momento, è l’astensione: rifiuto di votare e di avvicinarsi ai seggi. Tanto, chi se ne frega se il Paese perderà l’identità faticosamente conquistata?
A proposito di astensione e rifiuto del voto, interessante è quel che ha scritto l’altro ieri Eugenio Mazzarella. Prendendo spunto dalla recente analisi di Tecnè Italia, relativa alla sempre più massiccia astensione elettorale, Mazzarella ha evidenziato un dato ormai acclarato: la diserzione dal voto dei ceti più disagiati, sempre più convinti che la politica non li rappresenti e, quindi, dell’inutilità della partecipazione elettorale. Nella sintesi fornita dall’Istituto di ricerche, infatti, emerge che “le classi più disagiate cercano risposte che non trovano in nessun partito e percepiscono che spesso il loro voto è inutile. Dunque, se ne stanno a casa”. In sostanza, dal campione esaminato (le ultime amministrative), emerge che solo il 28% degli elettori a basso reddito è andato al seggio. Le percentuali salgono per la classe a reddito medio (63%) e soprattutto per i redditi alti (79%).
Secondo Mazzarella “è una forma di ritorno al voto censuario, quello attribuito per censo, in auge tra i notabili che tra Ottocento e Novecento tenevano banco e regolavano a piacimento il diritto di voto”. In soldoni, da tempo tanti italiani si sono convinti che andare a votare conta poco, anche perché non sono davvero i cittadini e le cittadine a scegliere i loro rappresentanti. Da qui la galoppante disaffezione alle urne. “Ma la cosa drammatica, sul terreno democratico – ha scritto Mazzarella -, è che questa disaffezione alle urne è in grandissima parte frutto della rinuncia al voto di grandi masse popolari, i cui sentimenti e i cui interessi restano in gioco, anche pericolosamente, nelle tensioni populiste del corpo sociale”.
Considerato quello che ci ha fatto vedere questa legislatura, poteva sembrare che fossero maturi i tempi per un ritorno ponderato al proporzionale con preferenza per ricucire un rapporto con gli elettori. Cioè, a un sistema grazie al quale l’elettore – dopo la prima cernita fatta dai partiti nell’offerta dei candidati – tornasse a essere significativo nelle urne. Consentendo così di risalire la china della partecipazione. Bastava dar corso alla riforma elettorale… Invece si andrà alle urne nella logica perversa del mattarellum, un sistema elettorale che è specchio fedele del più avvilente disinteresse mostrato dal ceto politico sul problema dell’astensionismo: pronti a versare lacrime di coccodrillo sull’astensione (puntualmente versate a ogni chiusura dei seggi soprattutto da parte dei perdenti) ma incapaci di dar corso a una vera e coraggiosa riforma del sistema elettorale. Infatti “il ceto politico in servizio – lo ha dimostrato ancora una volta – non ha alcun interesse, con le liste bloccate in forza del mattarellum a far aumentare la partecipazione. E questo per un motivo semplice: perché con la metà dei voti assoluti di trent’anni fa, per il gioco delle percentuali, paghi uno e prendi due, ottiene lo stesso numero di seggi, per altro predeterminando con i listini l’eleggibilità dei canditati: paradossalmente sono i capi dei partiti politici a esprimere chi preferiscono sia eletto in base alle percentuali raggiunte; la preferenza è loro, non dell’elettore”.
Non solo. “Riducendosi la partecipazione al voto – ha scritto Mazzarella -, le segreterie dei partiti governano più felicemente la decrescita infelice della partecipazione democratica, perché incidono di più sull’esito del voto le filiere strutturate di appartenenza clientelare-amministrativa. Tant’è che appena alle urne si presenta un’imprevista ondata d’opinione non controllabile (detta populismo) il sistema così tarato nelle sue modalità di funzionamento, quasi in automatico la normalizza in base allo schema prestabilito…”.
Dire “è ora che questo sconcio democratico finisca” è legittimo e doveroso. Però, c’è qualcuno disposto a spendersi per dare corso a una riforma che rilanci la voglia di andare a votare?
Dubitare necessa est.
LUCIANO COSTA