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Ma il mondo dovrebbe fermarsi a pensare…

E’ illuso quel papa che a Russia e Ucraina chiede “una tregua pasquale; non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, ma per arrivare alla pace?”. Forse sì, o forse è soltanto il pazzo che crede fermamente nel prevalere dell’amore sull’odio. E il presidente della minuscola Austria che va da Putin, il folle zar di tutte le (sue) russie per dirgli “smettila di fare la guerra, hai torto”, è figlio dell’utopia o è invece la voce di una umanità dolente che spera giorni degni d’essere vissuti? In Ucraina cadono bombe di ogni tipo ma si muore in un solo modo: straziati nel corpo e nell’anima. Auspicando “un vero negoziato” Francesco si è chiesto e ha chiesto al mondo: “Che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”.

Intanto, la guerra in Ucraina giunge al 48° giorno e non offre margini di manovra alla diplomazia. Lo dimostra purtroppo la visita a Mosca del cancelliere austriaco Nehammer, il cui colloquio con il presidente Putin è stato semplicemente “duro”. Vienna ha uno status di neutralità che è stato citato come possibile modello per l’Ucraina post-bellica, ma fa anche parte dell’Unione Europea, la quale sostiene con determinazione la resistenza di Kiev. Non ci si potevano aspettare improvvise aperture dal Cremlino, ma ancora una volta è giunta la conferma che siamo, purtroppo, in una fase del conflitto in cui sono i combattimenti sul terreno a determinare le sorti della crisi in corso. Infatti, nell’Est, la Russia sta ammassando truppe e mezzi per conquistare il pieno controllo del Donbass e dell’area costiera a Sud, Mariupol compresa, dove secondo le autorità del luogo i morti sarebbero addirittura diecimila.

Di fronte alla guerra, adesso emerge prepotente una domanda: “Quali sono le conseguenze di una guerra che in pochi pensavano potesse esplodere così devastante e potenzialmente foriera di rimescolamenti politici, economici e culturali? Difficile, infatti, sganciare tutti i principali eventi di questo periodo dall’ombra lunga del conflitto. Le elezioni presidenziali francesi, in particolare, si prestano a un’analisi di indubbio interesse. Quanto ha pesato il fattore ucraino sulla sfida tra Macron e Le Pen? Di primo acchito, verrebbe da dire molto, perché Macron è stato protagonista di iniziative diplomatiche e di decisioni Ue, anche in quanto presidente di turno dell’Unione. D’altra parte, Marine Le Pen è stata per molto tempo vicina allo stile di governo autoritario e nazionalista di Putin, salvo poi prenderne le distanze nelle ultime settimane.

Ebbene, “il risultato del primo turno a Parigi, con Macron in vantaggio di cinque punti sulla rivale – ha scritto ieri l’inviato di “Avvenire” – non sembra discostarsi da quello che avrebbe potuto registrarsi in assenza del conflitto nel cuore dell’Europa, con una forte componente sovranista e populista alla destra e alla sinistra dello schieramento partitico-ideologico”. Di conseguenza, l’eventuale vittoria al ballottaggio della leader della Destra Nazionale, sarebbe un colpo al progetto europeo. Per altro, nemmeno in Ungheria le cose sembrano cambiate. Infatti Orban, l’uomo forte della democrazia illiberale, ha continuato a convincere la maggioranza dei suoi concittadini, malgrado il Cremlino sia sempre più minaccioso verso Ovest.

E la Cina? “Neppure Pechino – scrive l’editorialista – ha modificato per ora il suo atteggiamento di collaborazione con la Russia e di diffidente partnership economica con l’Occidente, avendo sullo sfondo il confronto planetario con gli Stati Uniti. Per qualche aspetto non è sorprendente la risposta unitaria dell’Unione Europea di fronte al conflitto e ai 4 milioni di profughi, dato che Bruxelles nei momenti di grave emergenza, come nel caso della pandemia da Covid-19, ha saputo reagire compatta e con efficacia. La stessa unità e centralità del dispositivo Nato riscoperta sui due lati dell’Oceano Atlantico potrebbe non essere il preludio a una vera svolta se la guerra si concluderà in tempi non troppo lunghi con una pace stabile”.

Un altro aspetto che si può considerare è quello delle scelte delle Chiese cristiane e delle relazioni fra loro. Se i cattolici, guidati dall’instancabile impegno di Papa Francesco, si sono messi alla guida di coloro che invocano e fattivamente operano per la pace, seguiti dalle altre Chiese cristiane, gli ortodossi russi, con le esplicite prese di posizione del patriarca Kirill, non hanno ripudiato il tradizionale collateralismo politico con la leadership di Mosca interpretata dal folle zare Putin.

Questo significa che la guerra, con il suo inaccettabile carico di lutti e di distruzioni, non sta cambiando al di fuori dell’Ucraina? “Certamente, in prospettiva, potrebbero mutare i rapporti di forza nel continente, con la riedizione di una sorta di cortina di ferro al confine russo e nuovi equilibri economici e strategici, in primo luogo legati all’energia. Ma per altri aspetti bisogna guardare oltre l’emotività per capire le tendenze di lungo periodo. E in questo senso un mondo multipolare con l’Occidente mal sopportato o insidiato dalle grandi autocrazie e dai loro nuovi alleati è forse qualcosa che ora si manifesta esplicitamente ma che stava maturando da tempo”.

Però, soltanto l’esito del conflitto, con il conseguente livello di potenza che la Russia di Putin potrà vantare (non necessariamente maggiore di quello attuale), potrà farci capire se gli effetti di questa guerra saranno profondi e di lunga durata.

L.C.

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