Quello che mi colpisce nel messaggio che Papa Francesco ha diffuso per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebra oggi e che di nuovo denuncia lo scempio delle armi prodotte e vendute, è l’intreccio delle tre dimensioni in cui si raffigura l’umana avventura: dialogo, educazione e lavoro. “L’opportunità di costruire assieme percorsi di pace – scrive il Papa – non può prescindere dall’educazione e dal lavoro, luoghi e contesti privilegiati del dialogo intergenerazionale. È l’educazione a fornire la grammatica del dialogo tra le generazioni ed è nell’esperienza del lavoro che uomini e donne di generazioni diverse si ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze, esperienze e competenze in vista del bene comune”. Francesco dice anche che non ci può essere pace senza dialogo tra le generazioni, che è nel lavoro che questo dialogo deve esperirsi, che molto dipende dall’educazione che gli adulti sanno offrire elle nuove generazioni.
Gli adulti, gli anziani, i nonni (questi di nuovo chiamati a un ruolo che forse avevano già delegato ad altri), che cosa possono fare? Ieri sera, nell’ultimo messaggio alla Nazione, il Presidente Sergio Mattarella, con un sorriso appena accennato e tanta emozione che lo obbligava a controllare ogni parola e ogni gesto, dicendo “anche nei momenti più bui, non mi sono mai sentito solo e ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea” ha delineato quel che adulti, anziani e nonni dovrebbero e potrebbero fare per aiutare il mondo a vivere in pace. Non sentirsi mai soli, ma parte di una comunità che insieme procede e cerca sempre nuove vie di dialogo su cui far maturare pace e concordia.
Da un villaggio sperduto nella savana, come ogni anno, il vecchio amico Pierre (uno che il giorno lo regola col sole e la notte con le stelle, uno che crede ancora nell’erba che cresce per lui e per tutti, uno che sogna un mondo senza barriere pur sapendo che attorno a lui ci son o barriere che ogni giorno si per impedire ogni superamento), tramite il giovane missionario cattolico che due volte all’anno raggiunge il villaggio per celebrare in un solo abbraccio Natale, Pasqua, perdono, riconciliazione, comunione, battesimi, matrimoni e funerali, mi ha mandato due righe, scritte a matita su uno straccio di carta, per dirmi che “nonostante le fatiche è bello svegliarsi ogni giorno e ogni giorno abbracciare la vita che resta”. Pierre vive in uno dei Paesi più poveri del mondo, in una terra di conflitti armati, di morti ammazzati e di lotte senza fine per la conquista di un potere effimero e non può fare altro che sperare in giorni di pace di concordia, forse vicini o forse ancora lontanissimi, però possibili. Quello di Pierre è anche una delle trentaquattro nazioni in cui la guerra è una realtà visibile, drammatica, assurda, un Paese dove continuamente si muore di fame e di sete, dove mancano medicine, dove il Covid c’è e uccide senza che nessun vaccino sia annunciato come antidoto, dove però si spendono dollari – uno, centomila, milioni, miliardi – per acquistare armi…
Ho letto in un documento diffuso dall’organizzazione delle Nazioni Unite che “dall’Afghanistan allo Yemen, dalla Siria all’Etiopia settentrionale migliaia di bambini hanno pagato un prezzo devastante a causa dei continui conflitti armati, della violenza intercomunitaria e dell’insicurezza”. Così, nel 2020 sono state verificate 26.425 gravi violazioni contro i bambini. Quante saranno nel 2021 lo sapremo soltanto quando sulle scrivanie dei potenti della terra giungeranno i dati riscontrati… Compresi quelli relativi ai rapimenti di bambini, che sono norma amarissima in Somalia, Repubblica Democratica del Congo (RDC) e nei Paesi del bacino del lago Ciad (Ciad, Nigeria, Camerun e Niger). “Anno dopo anno, le parti in conflitto continuano a dimostrare un terribile disprezzo per i diritti e il benessere dei bambini”, dice l’UNICEF. E tale disprezzo obbliga i bambini a diventare “protagonisti delle guerre”. Nel 2020, per esempio, il 37% dei rapimenti verificati dalle Nazioni Unite ha portato al reclutamento e all’uso di bambini in guerra, con casi che hanno superato il 50% in Somalia, nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana. Di fronte a questo quadro drammatico, L’Unicef chiede a tutte le parti in conflitto di “impegnarsi in piani d’azione formali e di prendere misure concrete per proteggere i bambini come: la prevenzione di gravi violazioni, il rilascio dei bambini dalle forze armate e dai gruppi, la protezione dei bambini dalla violenza sessuale e la cessazione degli attacchi a ospedali e scuole”.
Nella notte appena passata, arricchita da grida di gioia, scoppi di petardi e fuochi d’artificio, ho riascoltato il dialogo tra un alunno curioso e il suo insegnante. Diceva l’alunno: “Maestro, insegnami il fiore e il frutto”. Rispondeva l’insegnante: “Col tempo ti insegnerò tutto!”. E ancora: “Insegnami fino al profondo dei mari”… “Ti insegnerò fin dove tu impari!”… “Insegnami il cielo, fin su che si può”… “Ti insegno fin dove io so”… “E dove non sai?”… “Da lì andiamo insieme, maestro e scolaro, dall’albero al seme. Insegno e imparo, insieme perché io insegno se imparo con te”.
Ho così pensato che il richiamo messo dal Papa nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace – “non ci può essere pace senza dialogo tra le generazioni… è nel lavoro che questo dialogo deve esperirsi… questo nuovo modo di procedere e di cercare soluzioni dipende dall’educazione che gli adulti sanno offrire elle nuove generazioni…” – era l’esatta traduzione del dialogo offerto dallo sconosciuto poeta ai suoi concittadini: forse un sogno, forse un’aspirazione, di sicuro una visione di futuro degna d’essere condivisa. E se ancora non basta, chiedete in giro “di quale sostanza son fatti i sogni”. Qualcuno vi spiegherà che i sogni più belli son quelli che si rinnovano ogni giorno, anche in questo giorno che inaugura l’anno, e che consentono di scambiarsi, con sincerità, l’augurio di felicità. Buon anno, amici, chiunque voi siate.
LUCIANO COSTA