Nonostante i silenzi e le omissioni dei media (oggi, almeno qui, in tutt’altra faccende affaccendati), la guerra in Ucraina continua: bombe, attacchi aerei, missili, uomini e carrarmati son lì a dire che la Russia aggredisce, non fa un passo indietro, usa la sua forza per intimidire gli ucraini e il mondo, “se ne frega” dei severi giudizi con cui la gente bolla il suo operato, usa ogni mezzo per conquistare terreno, paventa l’uso dell’atomica, usa frumento e mais non suoi ma del popolo ucraino come ricatto… E se papa Francesco rinnova il suo accorato appello alla ragione, alza il suo grido di speranza nella pace, mette il suo impegno a disposizione delle parti per aiutarle a trovare un accordo, ecco che qualcuno alza il tono della voce per dirgli “taci, che la questione non ti riguarda”. Può anche darsi che la questione non riguardi il Papa o anche chi con lui spera in tempi migliori e migliori perché finalmente liberati dalla guerra, è possibile che il resto del mondo guardi, si offenda, mandi aiuti, ricorra all’invio di armi, metta a rischio la pacifica convivenza senza che tutto questo susciti almeno un minimo ripensamento in colui – Putin, il folle zar – che tutto questo ha causato aggredendo con lo scopo di sottometterla a suo volere una nazione libera? I commentatori dicono che il presunto zar non conosce limiti, non lascia posto a ripensamenti, vuole l’Ucraina per metterla a baluardo contro le forze che lui ritiene ostili, che non teme nulla, neppure che i suoi fedelissimi lo lascino al suo destino…
Però, racconta un inviato speciale in Russia, il folle zar ha paura della sua ombra. “Sì, Vladimir Putin è ossessionato dalla sicurezza. Si è circondato di uomini fidatissimi. Ha scommesso su una pluralità di strutture protettive e repressive, organizzate in cerchi concentrici, che convergono tutte al Cremlino. Ha incaricato gli eredi del Kgb dei compiti di controspionaggio: la nuova entità, Fsb, ha almeno 150mila 007 e 4mila commando addestrati. Forma un organismo polivalente, capillare nell’antiterrorismo e nella neutralizzazione dell’opposizione interna”.
Putin ha voluto anche una Guardia nazionale: all’epoca aveva già attaccato la Crimea e il Donbass. Guerreggiava in Siria e pensava a una formazione di 450mila scherani alle sue dirette dipendenze. La Rosgvardia è stata una mossa anticipatrice, parte della risposta del Cremlino alla presunta minaccia rappresentata dalla Nato. Putin ne ha affidato le redini al generale Viktor Zolotov, suo amico intimo, cooptato nel Consiglio di sicurezza nazionale. Tramite Zolotov, Putin ha dispacci costanti pure sulle società di sicurezza private, che in Russia contano un milione di dipendenti. Fra loro, la più nota è la Wagner, a riprova del legame diretto fra i mercenari e il Cremlino.
Ma la guardia nazionale è molto altro. È un organismo composito: ha 10mila incursori in tutta la Russia, per stanare moti e insurrezioni terroristiche. Parte di questi commando stanno combattendo anche in Ucraina, insieme agli specialisti della forza operativa e ai berretti neri Omon, altre unità della guardia. Veri e propri manipoli: i primi allineano 30-35mila uomini, che salgono a 40mila per i secondi. Sono i pretoriani di Putin. L’ultimo baluardo del potere personale del presidente. Sulla carta, sembrano fanterie motorizzate, ma servono soprattutto a reprimere e a fare contro-insurrezione. Vigilano sui siti sensibili e sull’ordine pubblico, con un mandato preciso: essere maniacali ed appoggiarsi vicendevolmente per soffocare i moti di protesta. Nel Donbass e nel sud ucraino schermano le retrovie dell’Armata rossa. Sono incaricati della lotta anti-partigiana, insieme all’Fsb. Putin se li coccola: li ha eletti ad elemento equilibratore del suo sistema di sicurezza e ne ha fatto uno strumento supplementare per intervenire rapidamente nell’estero vicino. Si è messo al vertice di una catena gerarchica cortissima.
Se in una mano brandeggia la Guardia, nell’altra impugna il suo scudo personale: il servizio federale di sicurezza dell’Fso. Ne fanno parte i mastini del presidente, delle personalità a lui vicine e dei luoghi del potere. Budget e operativi sono segreti: ma nei siti semiufficiali si parla di 50mila uomini, organizzati su quattro anelli. Il primo è composto dalle guardie del corpo. Tutte hanno meno di 35 anni, sono alte fra il metro e 75 e il metro e 90. Masticano le lingue straniere e la politica. Hanno un’aria minacciosa, schermati da occhiali scuri, auricolari e valigetta blindata. Sono sempre in allerta, armati con pistole da 40 colpi al minuto. Seguono il presidente ovunque si sposti.
Negli eventi pubblici, comunicano in tempo reale con gli specialisti del secondo anello, forse i più importanti, abbigliati in fogge civili e mascherati fra la gente, a caccia di eventuali aggressori. Ancora più a monte, si appostano i cecchini e i guardiani del perimetro della folla. Sono semi-invisibili. Integrano un’unità che svetta per qualità ed addestramento, in prima linea mesi prima che il presidente esca dal Cremlino per apparire in pubblico.
Tutto è controllato minuziosamente: ingegneri e tecnici informatici del servizio di sicurezza sondano tutti gli smartphone ed apparati nel raggio di svariati chilometri, per scandagliare ogni minima attività sospetta.
A cura di LUCIANO COSTA