Intervenendo al Congresso degli Stati Uniti d’America, Volodymyr Zelensky ha affermato con orgoglio che l’Ucraina non è caduta, che vive e combatte e che non si arrenderà mai. Il Congresso ha applaudito e, all’unanimità, ha assicurato aiuti e vicinanza. Nel suo primo viaggio all’estero dall’inizio dell’invasione militare russa, iniziata lo scorso 24 febbraio, il capo dello Stato ucraino si è detto convinto di riuscire a sconfiggere le forze di Vladimir Putin e di arrivare ad una “pace giusta”, cioè senza “nessun compromesso” sulla sovranità e l’integrità del suo Paese. L’America, attraverso il suo presidente, ha assicurato a Zelensky il sostegno per tutto il tempo necessario. “Non sarete mai da soli perché – ha assicurato Biden – la battaglia dell’Ucraina fa parte di qualcosa di più grande e di irrinunciabile”. Nel suo intervento al Congresso, Zelensky ha detto che quella che gli Stati Uniti stanno facendo nei confronti dell’Ucraina “non è beneficenza, ma un investimento nella democrazia e nella sicurezza…”. Il presidente statunitense ha però rilevato che i partner europei non vogliono “scatenare la terza guerra mondiale o combattere con la Russia”, ma mettere l’Ucraina invasa “nella condizione di potersi difendere sul terreno, per poi vincere anche al tavolo delle trattative diplomatiche”.
Mentre Zelensky incontrava Biden, Putin ha risposto convocando i vertici della Difesa — in diretta televisiva — per fissare gli obiettivi del 2023. Il messaggio è stato esplicito: “La priorità è proseguire l’operazione militare speciale in Ucraina, finché tutti i compiti non saranno svolti”. E per farlo, il leader del Cremlino ha assicurato che “non ci saranno limiti di finanziamento” e neppure di azioni eclatanti, come il ricorso all’uso della forza nucleare. Ieri, giorno numero 303 della guerra d’invasione scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, sono proseguiti i combattimenti e le forze russe hanno colpito con razzi e missili almeno 23 volte la regione nordorientale.
Sempre ieri gli analisti di guerra si sono chiesti: quando finiranno i missili di Putin? Tutti se lo domandano atterriti. I raid ormai diventati quotidiani contro le infrastrutture energetiche ucraine sanno di apocalittico. Ovviamente, non è possibile mettere il naso negli arsenali di Putin ma, incrociando i dati, sembra che molte stime del Pentagono e dell’intelligence britannica siano a dir poco presuntuose. A settembre, gli analisti anglo-americani parlavano di un esaurimento prossimo dell’arsenale russo più moderno. Ma, da metà novembre, la Russia si è permessa di scatenare una vera e propria campagna strategica lanciando missili e razzi ovunque. Pochi giorni fa, il 16 dicembre, ad esempio, l’Ucraina ha subito il lancio simultaneo di oltre settanta missili, alcuni di recentissima fabbricazione, tanto potenti da essere giudicati “imprendibili da qualunque sistema antimissile”. In più, continuano a sparare pure i missili dati per spacciati già a giugno. La verità è che Mosca ha accumulato prima della guerra almeno 5mila armi di precisione. In dieci mesi ne ha usate non più del 70%. Tante per un’operazione detta «limitata», compensata però da una capacità produttiva immutata.
L’industria militare russa può sfornarne fino a 300 all’anno, a seconda dei modelli. Galvanizzata dalla guerra in corso, ha accelerato la cadenza, incamerando le lezioni del conflitto e privilegiando i vettori semibalistici e ipersonici, più sfuggenti alla contraerea. Quello che forse molti analisti anglosassoni dimenticano è che le fabbriche belliche russe sono praterie sterminate: impiegano 2,5-3 milioni di persone, il 20 per cento dell’industria nazionale. Sebbene l’embargo occidentale incida su molti settori, il comparto missilistico dipende meno dall’elettronica di punta. Perfino i vettori più evoluti, sono semplici. Hanno elettroniche intercambiabili. Come se non bastasse, i russi hanno arginato la dirompenza delle sanzioni. Preparavano l’invasione dall’epoca dell’Euromaidan (2014) e hanno fatto scorte di semiconduttori, di giroscopi laser e di microchip.
Pochi giorni fa, l’agenzia di stampa Reuters ha messo nero su bianco uno studio che documenta pure intensi traffici clandestini. Molte componenti vietate continuano a fluire dall’Asia e dalla Turchia, con triangolazioni coperte da società schermo. Durante la guerra fredda, era un classico sovietico. E c’è dell’altro: il Cremlino ha ereditato dall’impero che fu un’enormità di missili, oggi datati e imprecisi, ma sempre utili. Ne ha almeno 7mila e ha mostrato inventiva, convertendo i cruise antinave e i vettori antiaerei al bombardamento terrestre. Modificando i razzi ancori più vecchi, si è offerto una riserva potenziale di 28mila ordigni.
Non ci sono dati di intelligence, ma sembra che perfino i missili più obsoleti siano diventati improvvisamente balistici. Sarebbe già avvenuto per i 5V55 e non è una buona notizia: quei proiettili volano 5,5 volte più veloci del suono e non sono intercettabili. Colpiscono a più di 100 chilometri di distanza. Se l’informazione fosse vera, si spalancherebbero scenari tragici, perché lo stesso procedimento potrebbe essere applicato ad altri colpi, offrendo ai macellai russi una riserva teorica di decine di migliaia di vettori. Purtroppo, la fine della guerra rischia di non passare per l’esaurimento delle capacità militari russe. È ora che anche l’Occidente ne prenda atto, spingendo a più non posso verso il negoziato.
E la pace? Purtroppo, benché sia sulla bocca di tanti, resta la grande dimenticata. Eppure, fra due giorni Natale dirà al mondo che è di nuovo tempo di pace. Ma ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare?
L. C.