Il grido accorato è salito dal Colosseo di Roma, luogo di memorie terribili ma anche sede di grandissimi miracoli, e grazie alla mondovisione è giunto in ogni angolo della terra: “Mai più la guerra, mai più!” Poi quattordici “grazie” per tutti i beni concessi dal Cielo all’immenso creato. “Difficile credere in questo Dio di misericordia e di pace – mi ha sussurrato ieri un anziano diretto alla chiesa di montagna – se poi in giro ci sono soltanto disprezzo e guerra. Però, è anche impossibile non vedere e restare indifferenti di fronte al mistero del Giusto crocifisso. Perché credere o non credere e quindi dubitare – ha aggiunto – è umano, umanissimo… In ogni caso, resta impossibile far finta di niente”. A Roma, in una fredda notte, ventimila persone si sono riunte al Colosseo per raccogliere frammenti di Pace da portare a casa, nel mondo, dove più difficile è vivere e sperare. Il freddo e il maltempo hanno impedito a papa Francesco di essere presente. Ma non è mancata la sua parola e la certezza che lui da Santa Marta, seguiva e condivideva ansie e gioie. A leggere le meditazioni dettate dalle quattordici stazioni della Via Crucis è stata la gente di ogni religione e nazionalità, che ha visto morire figli e genitori sotto bombe e colpi di mortaio, gente che è stata violata nel corpo e nell’anima, che è stata strappata dai luoghi di nascita per essere catapultata sopra barconi, in mezzo a deserti, dentro a bauli o all’interno di centri di tortura.
A condividere frammenti delle proprie storie erano vedove e profughi, orfani e sopravvissuti, migranti torturati in Libia e sacerdoti perseguitati durante la guerra nei Balcani. Ragazzi di Paesi aggrediti e Paesi aggressori che piangono entrambi la perdita dei propri cari o ragazzini come Joseph e Johnson di 16 e 14 anni – gli unici di cui viene riportato il nome – che vorrebbero solo giocare e studiare ma che sono costretti a vivere nei blocchi dei campi sfollati. Ci sono poi madri, padri, giovani, anziani, suore, sacerdoti, missionari. Tutti uniti dal dolore, dal trauma di aver visto morire parenti o consorelle, dalle ferite provocate da mine e coltelli o dall’odio. Quello che, si recita nella quinta stazione, “una volta sperimentato, non si dimentica…”.
Sono “voci di pace” quelle che illuminano Roma e il mondo. Nelle loro testimonianze, raccolte da Francesco stesso durante i quaranta viaggi apostolici e in altri momenti del suo pontificato, non c’è solo la denuncia dell’orrore subito in Medio Oriente, in Africa, in Asia del Sud o in Ucraina ma anche l’invocazione alla speranza, al dialogo, alla conversione, al perdono. Soprattutto il perdono.
La croce in legno, mentre le parole scandiscono ogni passo, viene portata da altre persone, anch’esse vittime delle violenze delle guerre, in rappresentanza di coloro che hanno incontrato il Papa. Ci sono tra loro rifugiati di vari centri di raccolta; c’è il giovane che porta la croce nella decima stazione, quella che riporta la testimonianza di un ragazzo di Mariupol e di un ragazzo russo che ha annodato al collo un foulard con i colori della bandiera Ucraina; c’è e si sente anche il lamento di un neonato tra le braccia della mamma e c’è un’altra bambina di pochi mesi, con un grande fiocco rosa sulla testa, è la più giovane crucifera, in braccio alla sua mamma e al suo papà che guidano la processione nell’undicesima stazione.
Così fino alla fine quando, dopo la quattordicesima stazione, è già evidente, almeno per chi crede o che non riesce a restare indifferente, il tempo della Risurrezione. Allora e solo allora si alza l’applauso che racchiude i quattordici “grazie” e il grido accortato che scandisce “mai più la guerra, mai più!”. (L. C.)