Il Vecchio Continente spalanca le braccia e le frontiere ai tre milioni di rifugiati che scappano dal conflitto russo-ucraino. Nei Paesi europei, le istituzioni laiche e religiose, insieme ai singoli cittadini, mettono in campo ogni sforzo per ospitare e aiutare chi è in cerca di salvezza, ponendo particolare attenzione alle categorie più fragili, come i minori e i malati. Ovunque si contano Centri di accoglienza, raccolte di generi di prima necessità, famiglie che aprono la loro casa ai profughi. E mentre si prevedono fino a cinque milioni di sfollati, quella che rappresenta la più grande crisi umanitaria in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale non accenna a risolversi. Perché a mancare è un elemento fondamentale: la pace, che ancora manca in tanti Paesi, che ancora è in attesa di diventare metodo di vita, che ancora è offesa.
Oggi l’Ucraina è al centro delle attenzioni mondiali, soprattutto perché il suo aggressore – la Russia – è una potenza in grado di dettare e di imporre il suo volere. Lo fa con le armi – tante troppe studiate per incutere paura -, con la mole di ricchezze accumulate, con i prodotti del suo suolo – gas e petrolio – con cui tiene in scacco l’economia dell’intera Europa, lo fa mandando ovunque, in Africa come in Sud America, le sue tecnologie e gli uomini necessari e indispensabili per manovrarle. Oggi la Russia dominata da Putin non ascolta ragioni, non ammette interferenze, vuole semplicemente essere dominus incontrastato dove e come vuole. Per la Russia aggredire l’Ucraina e metterla a ferro e a fuoco è un modo per raccomandare ad altri, altre nazioni, di stare alla larga, di non allacciare alleanze che non le siano gradite, di non avventurarsi nei terreni della democrazia e della libertà. La guerra contro l’Ucraina, che dura ormai da ventun giorni, sono il biglietto da visita che la Russia di Putin presenta a chiunque abbia idee diverse alle sue; le migliaia di persone (ormai quasi ventimila quelle accertate) arrestate per essere scese in piazza a chiedere la fine della guerra in Ucraina, per rivendicare pace libertà e democrazia, sono l’orribile monito che lo zar Putin rivolge a chi non la pensa come lui.
“Ma la supremazia del folle zar Putin – ha detto ieri un commentatore politico – scricchiola”. Vuol forse dire che l’uomo solo al comando non è più tano sicuro di essere ascoltato e applaudito? Che dietro di lui si sfalda l’apparato costruito per imporre e si fa strada la volontà di presentarsi al mondo senza pretendere di possederlo? Sperare sia così è il minimo. Oltre questa soglia, infatti, ci sono soltanto macerie, cartelli che chiedono la fine della guerra, invocazioni di pace e libertà, auspici di fratellanza senza confini. “Bellissime aspirazioni – ha commentato un volontario – che però non si sa come e quando potranno tradursi in fatti concreti”. La realtà è che nella Russia di Putin non è ammesso dissenso, non è ammessa protesta, non è consentito dire verità scomode… Come quelle portata in televisione da Marina, giornalista che ha imbracciato il coraggio per far sapere al popolo russo l’altra faccia della realtà raccontata a uso e consumo del regime.
Così Marina Ovsyannikova ha rischiato il carcere opponendosi a Putin in tv, andando a dire in diretta televisiva, esibendo un cartello scritto in russo e in inglese in modo che milioni di russi potessero intendere quel che la censura di Putin impediva di dire, “no alla guerra, stop alla guerra, non credete alla propaganda, vi stanno mentendo…”. Marina, una delle tante che il dissenso sono costrette a nasconderlo, una delle tante che non ce la fanno più a diffondere le bugie del regime. Marina, la giornalista coraggiosa, ha raccontato di essere per metà russa e per metà ucraina. Ha anche confidato di non farcela più a confezionare bugie, di vergognarsi per aver passato molti degli ultimi anni a lavorare per “Russia 1” (il principale canale di informazione), facendo propaganda per il Cremlino. “Mi vergogno di aver permesso la trasformazione in zombie dei cittadini russi – ha scritto -. Siamo stati in silenzio nel 2014, quando tutto è cominciato, quando la Crimea è stata invasa. Non abbiamo protestato quando il Cremlino ha avvelenato l’oppositore Navalny. Abbiamo osservato in silenzio questo regime disumano, e basta. E ora il mondo intero ci ha girato le spalle. E nemmeno le prossime dieci generazioni riusciranno a lavare la macchia di questa guerra fratricida. Noi russi siamo un popolo intelligente, un popolo che pensa. Solo noi abbiamo il potere di fermare questa follia. Andate a protestare. Non abbiate paura di nulla. Non ci possono rinchiudere tutti”.
Marina, di cui non si hanno avute notizie per molte ore, è poi apparsa davanti ai giudici dopo essere stata interrogata per ben quattordici ore. Ovviamente, i giudici l’hanno ritenuta colpevole e per questo l’hanno condannata al pagamento di una multa considerevole. Però Mrina è viva e di sicuro, da qui in avanti, la sua sarà la voce più autorevole che si alzerà contro ogni sopruso e contro qualsiasi putin lasciato in circolazione.
Si è saputo solo ieri che il sindaco di Kiev ha scritto a papa Francesco invitandolo ad andare nella capitale ucraina in modo da obbligare il mondo a fermarsi per meditare e cercare l’affermazione della pace. Dal Vaticano hanno fatto sapere che “il Santo Padre ha ricevuto la lettera del sindaco della capitale ucraina e che è vicino alle sofferenze della città, alla sua gente, a chi ne è dovuto fuggire e a chi è chiamato ad amministrarla”. Il portavoce vaticano ha anche ribadito la forza e l’insostituibilità dell’appello lanciato dal Pontefice. “’Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi – è scritto nell’invocazione – non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri'”.
LUCIANO COSTA