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Mattarella porta in spiaggia Pietà e Misericordia

Pietà non è ancora morta e oggi il capo dello Stato Sergio Mattarella la caricherà sulle sue spalle e la porterà fino alla spiaggia diventata teatro dell’ennesima tragedia della migrazione. Il Presidente della Repubblica porterà Pietà davanti a ognuna delle bare allineate nel palazzetto dello sport, la guiderà ad asciugare le lacrime dei sopravvissuti, le chiederà un di più di comprensione e affetto per i familiari delle vittime alle quali è stato dato un nome e un volto. Porterà la Pietà tra la gente che ha soccorso i naufraghi, tra i volontari che hanno portato fin lì briciole di misericordia, tra le forze dell’ordine di mare, cielo e terra che hanno fatto quel che era loro concesso di fare per arginare la tragedia. Su tutto e tutti il profondo cordoglio che, sono sicuro, sarà accompagnato dalla preghiera che sola sa e può lenire l’umano dolore. Tutto il resto – polemiche, scambio di accuse sul ritardo dei soccorsi, dichiarazioni insensate da parte di taluni politici (anche altolocati), invocazione di misure in grado di affrontare il problema, suddivisione di responsabilità, distribuzione di colpe… – diventa inutile o precario se non è accompagnato dalla ferma volontà di chiarire ciò che è successo, non solo per punire eventuali colpevoli, ma per impedire che altre tragedie possano di nuovo ripetersi.

C’è ancora molto da riflettere su quel che è accaduto e ancora di più su ciò che qui e altrove è possibile fare per impedire che migliaia di persone siano costrette a gettarsi tra le braccia di indegni rappresentanti del genere umano – banditi, scafisti, istigatori, finanziatori occulti, procacciatori di sporchi affari, corrotti, avventurieri, boia, killer, chiunque tragga profitto da così infami viaggi – senza vergogna, senza cuore, senza neppure un briciolo di pietà e misericordia. Leggendo e ascoltando commenti mattutini ho avuto di nuovo l’impressione che troppe parole sono consunte, fuori luogo…. Certo, sono anche intrise di orrore, bagnate da lacrime, pronte a raccontare la pena di che è costretto a essere spettatore muto di così terribili tragedie parole usate, buone per esprimere cordoglio, assai meno per dire basta a norme e leggi che rinchiudono soccorsi e aiuti dentro gabbie che impedendo di intervenire o limitando il diritto di intervenire, diventano complici delle tragedie che si consumano tra le onde, sulle montagne, nei boschi, ovunque vi sia un filo spinato allungato per fermare uomini, donne, persone che tutto possiedono meno che la forza di diventare invasori.

All’alba ho letto la favola non favola che Andrea Monda ha scritto e pubblicato assegnandole il compito di smuovere pensieri, sollecitare riflessioni, aprire il cuore alla speranza che si fa perdono e misericordia. Attori principali della favola non favola sono lui e lei, vecchi ma non ancore abbastanza vecchi per tramutare l’essere in prospettiva generosa e piena di sole. Dice: “C’era una volta una casa al centro di una bella valle verdeggiante. Tutto attorno c’era il deserto ma quella valle era proprio bella e lussureggiante. Anche la casa era bella, grande, con tante stanze, con un bel pozzo per l’acqua e il camino per riscaldarsi di inverno. Col passare del tempo le cose cambiarono, alcuni degli abitanti di quella casa se ne andarono, qualche figlio espatriò, gli altri, semplicemente, morirono senza lasciare figli. Le stanze si svuotarono e rimasero solo due persone a viverci. Stavano lì, dentro, e non uscivano più… Non riuscivano più ad andare al pozzo a prendere l’acqua perché i muscoli si erano atrofizzati e quindi stavano morendo di sete. Un esperto propose loro due alternative: prendere a servizio un giovane straniero, a cui dar da mangiare e un alloggio in una delle tante camere rimaste vuote, oppure spendere un po’ di soldi e creare un canale che, attraverso un semplice click sul computer, riusciva a portare l’acqua dal pozzo al rubinetto della cucina. Optarono per questa seconda ipotesi. La casa però cominciò ad andare in rovina. Le assi di legno del tetto e delle pareti scricchiolavano in modo sinistro, ogni tanto ci pioveva dentro, ma i due anziani non si turbarono più di tanto né cominciarono a fare dei lavori per rinforzare il tetto o le pareti. Si concentrarono invece solo su una cosa: la porta. Per blindare quella porta spesero tutti i soldi che avevano, anzi di più, chiedendo soldi ai figli lontani, prosciugando di fatto buona parte della loro eredità. Quella porta era all’avanguardia sotto il profilo della sicurezza. Però non c’era niente da fare, i due anziani non si sentivano sicuri. Avevano visto all’orizzonte sempre più persone che, attraversando il deserto, si affacciavano sulla verde valle. Ebbero paura. Scavarono tutto attorno un fossato e costruirono un muro coronato da filo spinato. Ma ancora non si sentivano sicuri. Comprarono dei cani. Ogni tanto accadeva un incidente, qualcuno entrava nella proprietà e rimaneva ferito. Uno dei due anziani disse sospirando: «Qui ci scappa il morto». E un bel giorno nella bella casa della bella valle il morto ci scappò davvero. All’alba i due vecchi abitanti della casa aprirono la porta e trovarono un corpo, sfigurato dalle ferite del filo spinato e dai morsi dei cani: il corpo di un bambino. Si ricordarono che quella notte, prima dell’alba, avevano sentito dei rumori vicino alla porta, come se qualcuno stesse bussando; il rumore in effetti li aveva svegliati ma i due non avevano capito di cosa si trattasse. La storia finisce qui, con la porta di questa casa finalmente aperta e i tre protagonisti, i due anziani e il corpo del bambino, sulla soglia…”.

Il commento alla favola non favola ciascuno lo faccia a modo suo, ma lo faccia. Altrimenti la storiella non finirà e altre spiagge si riempiranno di morti, di resti di imbarcazioni, di persone migranti costrette a piangere e a disperarsi…

LUCIANO COSTA

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