Matteo Renzi tra polvere e altare

C’era poco da dire sulla pandemia (numeri in calo e qualche spiraglio di buon futuro), ancor di meno sulla politica (un partito alle prese con la verifica, l’altro con i dissensi interni, quell’altro con la conta dei dissidenti e l’ultimo con la pretesa di rifondare qualcosa – il centro-destra – che si è incagliato tra ideologismi e populismi) e nulla sulle olimpiadi in corso a Pechino (nessuna medaglia, previsioni di medaglie pari a zero, chiacchiere in libertà tante, fin troppe). Così i media hanno fatto titolo con la decisione della Procura di Firenze di chiedere il rinvio a giudizio per Matteo Renzi (bischero fiorentino che appena si muove trova sempre il tarlo che rode ogni suo movimento) e altri dieci suoi vicini di partito a conclusione dell’inchiesta su finanziamenti illeciti riconducibili alla Fondazione Open (secondo gli accusati una libera associazione libera di concedere finanziamenti secondo le norme stabilite, secondo gli inquirenti qualcosa di oscuro e complicato). Lor signori compariranno davanti al giudice, per l’udienza preliminare, il 4 aprile.

Allora e solo allora si vedrà come stanno, e se stanno, le cose. Intanto Renzi manda a dire che si tratta “di un atto scontato e ampiamente atteso che arriva ad anni di distanza dai sequestri del novembre 2019 poi giudicati illegittimi dalla Corte di Cassazione”. E perché sia chiaro quel che pensa, Renzi vi aggiunge un “finalmente inizia il processo nelle aule e non solo sui media. In tal modo i cittadini potranno rendersi conto di quanto sia fragile la contestazione dell’accusa e di quanto siano scandalosi i metodi utilizzati dalla procura di Firenze”. A latere della decisione, cioè al suo fianco, spicca la denuncia, presentata dal bischero non tanto bischero fiorentino, nei confronti dei tre magistrati (Creazzo, Turco, Nastasi), che in questa vicenda rappresentano l’accusa, per abuso d’ufficio e per violazione dell’articolo 68 della Costituzione e della legge 140/2003 sui diritti dei membri del Parlamento in relazione a vicende giudiziarie che li riguardino.

Personalmente mi ostino a credere sia valido, validissimo, ciò che è scritto nel gran libro della Legge. E cioè che nessuno è colpevole finché la medesima Legge abbia pronunciato l’ultima sentenza, la terza, quella definitiva. Ciò non toglie che ancor prima di andare a giudizio, il giudizio sia già in prima pagina. Capita quando il soggetto dell’inchiesta è di quelli che fanno rumore. Matteo Renzi, per esempio, è uno di questi. Infatti, per via del suo modo di ergersi a liquidatore (lo chiamarono per questo rottamatore cortese) del vecchio partito democratico di cui aveva assunto la responsabilità della gestione politica e dei vecchi metodi ripetitivi e mirati a conservare i resti di un passato in evidente declino, divenne scomodo e non poco antipatico. Poi, diventato Capo del Governo, mise le ali al nuovo obbligando i suoi ad adeguarsi o a mettersi da parte. Volle anche mettere mano al quelle grandi riforme di cui ogni politico si era riempito la bocca senza ottenere il benché minimo risultato. E peste lo colse.

Quel suo procedere spedito, forse troppo baldanzoso, sicuramente fuori dagli schemi e quindi per qualcuno pericoloso e per tanti antipaticissimo e perverso modo di intendere il potere politico (proporre riforme a chi le riforme le vedeva come conservazione e non come evoluzione era un controsenso da impedire e non da lodare) lo portò a proporre un referendum rivoluzionario e, purtroppo, anche a perderlo lasciando per strada amarezze e anche la certezza, postuma, che se quel referendum fosse passato, cioè approvato, l’Italia avrebbe visto finalmente nascere una nuova politica, più adatta ai tempi perché sganciata da vecchi schemi e proiettata alla soluzione dei problemi piuttosto che alla loro conservazione.

Ma, come si dice, del senno di poi sono piene le fosse, E Renzi, caduto in antipatia e disgrazia, divenne soggetto e oggetto di reprimende furiose – proclamate-dette-scritte-ribadite da certuni cercatori di appigli a cui appigliarsi per dare fiato alle trombe e sotterrare quel che restava del bischero fiorentino – e di inchieste inanellate per rendere chiara la volontà dei giudici di prendersi cura di chi passando aveva seminato vento e tempesta. Lui, Matteo Renzi, fece spallucce e ubbidì soltanto al vecchio proverbio, quello che dice “non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Non solo. Infatti, egli uscì dai canoni, sconvolse gli schemi, rivoltò il galateo politico e mise a profitto la sua capacità di imbastire discorsi eloquenti e politicamente all’avanguardia accettando di compiacere gli Emiri del Golfo con conferenze e consuklente, ovviamente lautamente pagate. Così, un’altra volta, peste lo colse. “Scandalo”, gridarono i politicanti italioti; “guai a lui” aggiunsero i cultori del perbenismo di facciata; “sia inquisito” chiesero i paladini della forma (pochi e scarsi di pensiero, purtroppo). Lui, di nuovo, fece spallucce e incassò, tramite banca cioè alla luce del sole, i lauti compensi. Se sia una colpa guadagnare facendo conferenze a chi di conferenze sente la necessità non lo so. Però, ho il sospetto che al fondo vi sia una certa quantità di invidia difficilmente trattenuta.

Detto e ridetto tutto quel che c’era da dire e ridire, aspetto l’ardua sententia, che di sicuro sarà ardua per lui imputato, ma anche per i giudici che dovranno districarsi tra norme tanto strambe e assurde da sembrare inesistenti o comunque risibili. Come quelle già bocciate in altri procedimenti, come quelle che sono state ampiamente criticate quando applicate e rese nulle da successive sentenze, come quelle deprecate ma mai rimosse dal vocabolario della Giustizia (questa volta scritta con l’iniziale maiuscola).

Certo, Matteo Renzi non gode oggi di simpatie e di aloni protettivi. E’, mi pare, un intelligente politico costantemente indaffarato a sbrogliare intrighi (ha fatto cadere due governi a conduzione lega-cinquestelle e ne ha favorito uno, in carica, che gode consensi in tutto il mondo), intelligentemente in attesa di novità, ferocemente convinto che alcune briciole di ragioni che sostengono la politica sono anche sue. Però, è un due o forse un cinque per cento vagante e incerto. “Più o meno – dicono i suoi avversari, che pure lo temono ancora –  è politicamente defunto. E,  si sa, “sul leone morto si accaniscono pure le lepri”. Ma, siccome “la natura, sollecita, unì nell’ape la dolcezza del miele all’acutezza del pungiglione” nulla vieta che il bischero fiorentino proponga altre meraviglie.

 

LUCIANO COSTA

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