Sono incominciate le olimpiadi, quelle che dovevano essere celebrate l’anno scorso e che invece arrivano adesso, con un anno di ritardo e un mare di preoccupazioni irrisolte. L’anno scorso Covid obbligò Olimpia a farsi da parte; quest’anno Olimpia si è presa la rivincita e ha costretto l’orrendo morbo a fare altrettanto. Però, quella di Olimpia, rischia ancora di essere una rivincita illusoria. Infatti, ci siamo illusi di aver vinto la sfida contro il virus, di essere liberi, di tornare a lavorare, di riprendere contato con la felicità dei giorni senza affanni e malanni, ma in realtà, pur avendo quasi tutti in tasca il passaporto verde (Green Pass, lasciapassare medico), restiamo incerti, dubitiamo delle parole e delle ombre che ruotano intorno, vorremmo di più, desidereremmo che nessuno restasse indietro e che per ciascuno vi fosse la giusta vaccinazione. A Tokyo, sede dell’Olimpiade, c’è un tampone di verifica dietro ogni angolo e basta uno starnuto per far scattare misure di prevenzione a dir poco eccezionali. Poi, ovviamente, se non proprio dietro ogni angolo almeno in ogni luogo attrezzato, c’è lo sport, ci sono le gare, brillano le medaglie, risuonano gli inni. “Vinca il migliore” dicono i sognatori; “e gli altri si arrangino” aggiungono i materialisti contatori di successi.
Tutto qui? Stando alle cronache parrebbe di sì. Però, tra le pieghe, a questa Olimpiade si aggiunge anche qualcosa di nuovo, forse di derivazione antica, ma sicuramente attuale, che non ha nulla da spartire con lo sport praticato, ma che al gioco regala, racchiusa in una parola, una ventata di umanesimo integrale capace di trasformare il solito in un insolito straordinario. La novità, approvata dal Comitato Olimpico Internazionale, sta nell’aggiunta della parola latina Communiter (che corrisponde all’inglese Together, al francese Ensemble, all’italiano insieme e via discorrendo – al noto motto olimpico, che in tal modo diventa Citius, Altius, Fortius – Communiter: vale a dire più veloce, più in alto, più forte – insieme.
Pochissimi hanno sottolineato e messo in evidenza questa novità. In tutt’altre faccende affaccendati, hanno parlato di probabilità, di ori argenti e bronzi da conquistare, di acciacchi, di forma strepitosa per alcuni ma carente per altri e di virus, che aleggiano e impauriscono. Nulla di quel communiter (insieme) che da solo può dare senso a qualunque vittoria o sconfitta. Eppure, sarebbe bastato dare una rapida ripassata ai testi classici per capire e magari riaccendere il piacere di esserci piuttosto che di esserci soltanto per vincere. I testi e i promotori dell’integrazione dicono che l’avverbio Communiter (cum munus e cioè dono reciproco) esprime la consapevolezza di tutto lo sport mondiale, dalla base ai massimi livelli, che solo con uno stile solidale — insieme, appunto — si può uscire migliori dalle crisi, qualunque sia la loro denominazione.
La significativa parola in più nel motto dei Giochi è stata voluta per rafforzare l’idea della solidarietà, che è il punto di partenza se si vuole dare valore alla sostenibilità, evitare inutili sprechi e stabilire che risiede nell’inclusività il segreto del successo. Oltre l’avverbio, c’è poi la raccomandazione affinché l’attività sportiva coinvolga il maggior numero possibile di persone nei Paesi con meno risorse, attraverso una più attenta redistribuzione economica. “Perché lo sport non è solo mercato o sistema e neppure è solo quello si vede in tv – ha detto il presidente del CIO -, ma anche e soprattutto è visione alta, per ripartire insieme puntando sui valori della gratuità, della bellezza”.
Monsignor Melchor Sánchez de Toca (Sotto-segretario del Pontificio Consiglio della cultura) a commento della novità olimpica ha scritto: “Con lo stile della resilienza, che cancella la tentazione del guardare al passato per ricostruire semplicemente ciò che è caduto a causa della pandemia, lo sport inizia a guardare al futuro anche con nuovi modelli. E proprio l’aggiunta della dimensione solidale nel motto olimpico ripropone quelle relazioni fondamentali che lo sport costruisce tra le donne e gli uomini a scuola, in famiglia, nelle parrocchie, negli oratori, nelle piccole e grandi associazioni sportive”.
Oggi si gioca, si vince e si perde. Non spettatevi commenti. Però, almeno una fantasiosa immagine di futuro affidata al popolare detto che dice “farlo insieme è meglio”, ci sta.
LUCIANO COSTA