Da calciatore stupì le masse mettendo in mostra, con l’eleganza del palleggio e la capacità di tenere a freno gli avversari, un linguaggio mite e persuasivo, ragionamenti mai banali, giudizi non affrettati e proposte che già allora lasciavano intendere che oltre il calciatore, per di più bravo, ci fosse il cittadino che non si accontenta di osservare quel che passa davanti alla sua finestra, ma spende i suoi talenti per affermare idee che valgono e che servono alla città dell’uomo per crescere e confermare dignità a chiunque la abiti. Quel calciatore approdato alla Juventus e in breve diventato testimone credibile di un modo di fare che nulla concedeva all’esagerazione, si chiamava Liliam Thuram, aveva la faccia color cioccolato al latte, mostrava un sorriso aperto e accattivante, era disponibile al dialogo dentro e fuori dal campo di calcio, non aveva nemici e se li aveva facevano parte del conto dare e avere in possesso di ciascuno, guadagnò il giusto e fece divertire chi, da tifoso, chiedeva vittorie e soddisfazioni. Smise di giocare, ma quella sua capacità di mettere tra calci, finte, moine, passaggi e gol un certo non so ché di signorilità rispettosa gli conservò un posto onorevole nel grande circo del pallone e, cosa non secondaria, nella società. Se volete notizie dettagliate, qualunque enciclopedia sportiva è in grado di soddisfare la vostra curiosità. Qui e adesso, invece, di LIliam Thuram sottolineo la testimonianza che ha voluto racchiudere in un libro (Il pensiero bianco, edito da Add) per cercare di andare oltre i pregiudizi che colpiscono le persone di colore e spiegare come si crea la discriminazione del diverso. Di questo libro Liliam Thuram parlerà domani nell’ambito di Pordenonelegge (intelligente rassegna che all’offerta del libro aggiunge il dovere di conoscerlo per amarlo e diffonderlo), e c’è da scommettere che ad ascoltarlo non ci saranno soltanto i tifosi di una volta. L’intervento di Liliam Thuram (anticipato ieri da “Avvenire”) è più di una riflessione messa lì a sostegno del libro. Piuttosto, è una provocazione che invita ad abbandonare gli stereotipi e le convenienze. Da leggere.
LUCIANO COSTA
Il bianco del nero e il nero del bianco
Qualche anno fa mi avevano invitato per discutere il progetto di una grande mostra sul razzismo. Volevano che fossi il commissario generale, e il fatto che avessero pensato a me per portare questo messaggio al grande pubblico mi onorava. Per spiegare come mi sarei accostato a quell’incarico raccontai un’esperienza che avevo vissuto durante una riunione in un ministero: al momento delle presentazioni mi era stato chiesto cosa facessi e su cosa lavorasse la fondazione che presiedo. «Analizziamo i meccanismi di dominazione nella società», avevo detto. E, guardando le persone sedute attorno al tavolo, avevo richiamato la loro attenzione sulla disparità tra il numero di uomini e donne. «In effetti ci sono poche donne», aveva osservato il presidente. «Non è questo il problema, il problema è che ci sono troppi uomini», era stata la mia risposta. Di colpo avevo sentito su di me gli occhi di tutti gli uomini, come se li avessi aggrediti. Ma la mia era una semplice constatazione. Per questo, spiegai, nel mio ruolo di commissario generale, speravo di cambiare il punto di vista.
Da troppo tempo, quando si parla del razzismo, ci si concentra sulle persone discriminate, mentre io sostengo che dovremmo rivolgere il nostro interesse alle persone che, talvolta senza volerlo o saperlo, da queste discriminazioni traggono vantaggio. Mettere in discussione una categoria che non viene mai messa in discussione: la categoria bianca. Che cosa significa “essere bianco”? Come si diventa bianchi? Perché non si nasce bianco, lo si diventa. Avete mai visto una persona del colore di un foglio di carta bianco? No. Allora perché diciamo di una persona che è bianca? A che età si diventa bianchi? Diventare bianco non è forse come diventare un uomo, crescere pensando a sé come dominante?
Mentre parlavo, vedevo il disorientamento intorno al tavolo. I cosiddetti bianchi non sono abituati a essere sotto esame per il colore della loro pelle, né per il significato che potrebbe avere. Ho continuato: «Per guadagnare tempo in questa lotta per l’uguaglianza, dobbiamo lavorare sulla consapevolezza dei visitatori bianchi, che sono cresciuti senza dare una connotazione politica al loro colore». Ho percepito incomprensione, se non rifiuto. Come se si fosse costituito un “noi” che si chiedeva: «Cosa vuole da noi, lui?». Capivo che si sentivano quasi attaccati dalla mia proposta – non ho ancora detto che ero l’unico nero presente nella stanza.
Come si sentono attaccati gli uomini quando si fa loro notare che hanno sviluppato un complesso di superiorità nei confronti delle donne. Io non avevo accusato nessuno di essere razzista, ma parlare di una dominazione bianca, in effetti… Purtroppo le nostre relazioni si sono interrotte lì. Questo libro è nato anche da quel dialogo interrotto. Perché la maggior parte dei bianchi rifiuta di esaminare questa costruzione identitaria? O meglio, sembra che non siano consapevoli di avere un colore. Non si parla dei neri chiamandoli “persone di colore”? È la prova che i bianchi non ne hanno. D’altronde, di che colore sono i bianchi? Poiché esiste una minoranza visibile, i bianchi sarebbero la maggioranza invisibile?
La stessa parola “bianco” non viene quasi mai usata nel linguaggio corrente per designare un gruppo della popolazione, come se non corrispondesse ad alcuna realtà. E quando si usa, suscita qualche tensione in chi viene definito così. Dieci anni fa avevo trovato un numero speciale di un periodico, intitolato “La pensée noire”, che mi aveva spinto a chiedermi: se esiste un pensiero nero, ci sarà anche un pensiero bianco? Quel numero speciale raccoglieva testi di e su Toni Morrison, Maryse Condé, Martin Luther King, James Baldwin, Aimé Césaire, Frantz Fanon. Ma di cosa hanno scritto tutte queste persone nere? Di un mondo che inferiorizza i neri. Della necessità di emanciparsi da questa violenza, per vedersi riconoscere gli stessi diritti delle persone bianche. In fondo, quello che non viene mai detto è che King, Baldwin e gli altri scrivono in reazione a un sistema. Ma questo sistema non viene mai definito con chiarezza.
Chi ha costruito un discorso mettendo i bianchi in cima alla “gerarchia umana”? Chi fa credere che i neri sarebbero meno capaci? Chi ha deciso che non avrebbero diritto alle stesse opportunità degli uomini bianchi e delle donne bianche? Il pensiero razzialista bianco. Ecco la matrice, vecchia di secoli, che ancora oggi la maggior parte delle persone bianche non osa guardare in faccia. Perché nessun giornale dedica un numero speciale al pensiero bianco, che per altro ha forgiato il pensiero nero? Perché queste due parole, pensiero bianco, potrebbero sembrare scioccanti?
A mio avviso sono meccanismi paragonabili a quelli che portano alla dominazione degli uomini sulle donne. «Le opposizioni sessuali, contrassegnate dal sigillo del maschile e del femminile, sono gerarchizzate in quanto i valori di uno dei due poli (il maschile) sono considerati superiori a quelli dell’altro […]. Le società occidentali hanno sviluppato un modello esplicativo che lega la forza maschile alla superiorità dell’essenza dell’uomo. […] La griglia di lettura che utilizziamo è sempre quella, immutabile e arcaica, di categorie derivanti dalle lontane abilità dei nostri antenati, limitati a ciò che i loro sensi potevano imparare». La storia della resistenza degli uomini all’emancipazione delle donne non è molto più istruttiva della storia dell’emancipazione delle donne?
La storia della resistenza delle élite bianche nei confronti dell’emancipazione dei non-bianchi non è altrettanto istruttiva della storia di questa stessa emancipazione? Non è tempo di esaminare la volontà di difendere, generazione dopo generazione, questa linea del colore, questa dominazione? È interessante constatare come si studi l’“arte negra”, il pensiero nero, la letteratura nera, la musica nera, che li si esamini, li si esponga, li si dissezioni. Perché sarebbe vietato studiare il pensiero bianco, la letteratura bianca, la musica bianca? Certi ambiti sembrano sfuggire al loro colore, altri no. Perché?
LILIAM THURAM