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Oltre il voto c’è altro di cui occuparsi

NIENTE CHE GIÀ NON SI SAPESSE: la tornata elettorale che interessava 595 comuni per una somma di elettori superiore ai cinque milioni conferma la propensione all’astensione, premia la buona amministrazione locale che non ubbidisce alle logiche partitiche nazionali (nei piccoli e medi comuni la gente vota le persone e non certo gli slogan che sposano la politica gridata) e racconta una porzione d’Italia che non assomiglia a quella portata in giro per il mondo dai vocianti di turno. Stamani l’attenzione è riservata alle tredici città capoluogo in cui il voto era di prevalenza partitica, cioè espressione di coalizioni – destra, sinistra, centro. centro sinistra, centro destra e via discorrendo – ben identificate.

In quattro di queste tredici città ha vinto il centro-destra, in due il centro-sinistra; le altre sette torneranno alle urne fra quattordici giorni per dire da chi vogliono essere governate. Nel frattempo, spazio alle parole, ai commenti e al fumo: parole per convincere chi non è per nulla convinto delle promesse e dei proclami ascoltati; commenti utili a spiegare che nessuno ha perso ma nessuno ha vinto; fumo per con fondere idee già confuse. Unico rimedio a questo andazzo, sempre che un rimedio esista, potrebbe essere quel supplemento di riflessione e pensiero, che se usato consentirebbe di vedere quel che vale la pena d’essere visto e quindi votato. Però, come sempre, alla fine le cose andranno come i signori votanti vorranno indirizzarle. Nell’attesa, è sempre utile occuparsi di altro…

PER ESEMPIO DEL LICEO CLASSICO, ramo scolastico più o meno già destinato a scomparire. Leone Porciani (Docente di Esegesi delle Fonti di storia romana e Storia antica all’Università di Pavia) dedicando pensieri liberi alla questione, ha scritto l’altro ieri che è “sorpassato, retorico, antiscientifico, inutilmente pesante”, che c’è solo in Italia, che sebbene sia “la scuola da cui per oltre un secolo è uscita la classe dirigente del Paese, ha un’immagine ormai poco brillante”. Lo testimoniano le scelte degli studenti che frequentano l’ultimo anno delle medie inferiori: per la prima volta, in Italia, la percentuale di chi vuole andare al ginnasio è scesa quest’anno sotto il 6 per cento. Non è un problema dei licei in genere, che registrano anzi una crescita rispetto al 2022 e raccolgono nel loro complesso il 57 per cento delle iscrizioni (lo scientifico è stabile al 26 per cento, il liceo delle scienze umane vola all’11 per cento) ma un fatto specifico che riguarda il liceo classico.

Gli altri ordini di scuola si muovono variamente: gli istituti professionali sono in calo e mentre vent’anni fa o poco più attiravano un quinto delle preferenze, oggi hanno un gradimento pri al 12 per cento; gli istituti tecnici invece sono ambiti (30,9 per cento), e in realtà dinamiche come la Lombardia (o l’Emilia, il Veneto, il Friuli) il dato è particolarmente alto e supera abbondantemente il 35 per cento; a prevalere sono il settore tecnologico e quello economico, con una notevole crescita, in particolare, dell’indirizzo “amministrazione, finanza e marketing”. Così, l’evoluzione degli assetti scolastici degli ultimi anni, scrive Leone Porciani, “suggerisce una considerazione che potremmo esprimere in questi termini: varie volte abbiamo sentito appelli di ministri della Repubblica che, in forma più o meno diretta, chiedevano al sistema formativo di darci meno filosofi e latinisti e più fabbri ferrai, saldatori, fonditori e calderai. Credo si possa affermare che appelli di questo tenore hanno funzionato a metà: abbiamo certamente meno latinisti che in passato (e forse meno filosofi), ma abbiamo anche meno fabbri e meno fonditori”.

Il declino, dunque, non riguarda solo il liceo classico, ma anche gli istituti professionali. Però, non  è in crisi l’istruzione liceale nel suo complesso: più ramificata di un tempo, ha ampliato e reso più capillare l’offerta, ha semplificato qua e là requisiti e obiettivi e ascolta efficacemente le aspirazioni educative di buona parte dei ragazzi e delle famiglie. Gli indirizzi scientifici e tecnologici hanno una posizione solida, sono oggetto di attenzione crescente, danno una preparazione mediamente accurata. Il classico invece langue: pochi diplomati, spesso meno attrezzati di un tempo e non motivati a proseguire gli studi umanistici all’università. “La debolezza di quella che fu la regina delle scuole – spiega il professore – la mette sotto assedio: immancabile la proposta di salvifiche riforme, termine inquietante con cui di solito s’intende lo smantellamento dei pochi punti di riferimento che prima consentivano di non affondare”. In evidenza resta l’annosa ostilità per il pilastro educativo del liceo classico, la versione dalle lingue antiche all’italiano, “un esercizio di precisione concettuale, utile pratica di scrittura nella lingua d’arrivo, argine all’approssimazione e alla cialtroneria” scrive Porciani, che però in pochi apprezzano. Così, si va verso forme più annacquate di contatto con il testo, simili a quelle del liceo delle scienze umane. Forse, si continuerà a leggere un carme di Catullo o un brano dell’Eneide, ma solo in traduzione italiana, gettando ogni tanto un’occhiata ai versi latini stampati sulle pagine a fronte.

Ma, da dove arriva così pungente crisi del classico? E perché un così evidente declino quando fino a ieri si diceva che il latino e il greco studiati al classico aiutavano ad aprire la mente, che proprio quel tipo di liceo era un metodo di studio universale? Per rispondere, spiega il docente u ni ersitario “bisogna spostarsi su un altro piano, quello della società occidentale nella presente fase storica: è questa che decide gli strumenti di formazione adeguati ai propri assetti. E fra gli strumenti attuali c’è poco spazio per lo studio del passato: è la logica dell’innovazione tecnologica, della finanza, della cancel culture, della crisi delle discipline storiche come mezzo di comprensione della realtà”. In tal modo il classico liceo classico, quello che mette in contatto il giovane studente con la lunga durata della cultura occidentale, sia destinato a chiudere i battenti. Però, se è vero che le società cambiano e che il desiderio di storia non è morto, resta un barlume di speranza. Lo dice il successo del liceo delle scienze umane, “che ha i suoi aspetti positivi – scrive Porciani -, visibili in chi lo sceglie e così facendo dimostra di non volere rinunciare del tutto alla possibilità di guardare dietro di sé”. E proprio sulla traccia di questo gesto, e del bisogno fondamentale che esso esprime, “gli studi classici possono ritrovare la funzione che loro compete nella società”.

LUCIANO COSTA

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