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Omaggio a tre costruttori di pace

Erano costruttori di pace e sono morti: Luca Atanasio era ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Vittorio Iacovacci un carabiniere addetto alla sicurezza dell’ambasciata e  Mustapha Milambo uno degli autisti del convoglio della Monusco, la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nel Paese africano. L’attacco sarebbe stato un tentativo di rapimento. Il ministero dell’Interno congolese ha accusato i ribelli hutu ruandesi delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr-Foca). La cronaca dice che l’agguato è avvenuto in una zona popolata dai profughi fuggiti dal Ruanda dopo la guerra che sconvolse il loro Paese, una zona dove purtroppo bande armate di ribelli impongono la loro logica perversa.

L’Italia piange i suoi due eroi e chiede giustizia; l’Europa esprime dolore e preoccupazione; il mondo stupisce ed esprime il suo cordoglio, ma domani, come sempre, sarà già pronto a mettere il caso tra i tanti senza risposta. Invece, proprio per continuare a vivere e a sperare che fatti come questi non accadano più, abbiamo bisogno di risposte.

“Noi cerchiamo di offrire alla gente pane e sapere – mi disse un missionario che la sua storia la stava scrivendo nel cuore del continente africano -: è tanto, ma non basta. Ci vorrebbero posti di lavoro, terreni da coltivare, ospedali e ambulatori messi nella condizione di curare, governanti e politici dediti al bene del Paese e non solo preoccupati del benessere proprio e di pochi altri…”.

Il Congo, adesso Repubblica Democratica, fino al 1960 è stato colonia del Belgio. Basterebbe questo per dire in quale travaglio si trovi ancora la Nazione. Eppure, sessant’anni fa, sembrava che tutto potesse cambiare.

In realtà tutto è rimasto come prima: fame, malattie, devastazione del territorio, analfabetismo, guerre interne, bande armate pronte a seminare paura e violenza. “Ci sono situazioni politiche e militari in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo – ha detto ieri in un’intervista il vescovo di Latina e vicepresidente delle Commissioni Episcopali dell’Unione Europea monsignor Mariano Crociata -, che sono senza controllo e che evidenziano la responsabilità di poteri economici e politici. Non sono fatalità quelle che accadono, sono fenomeni prodotti da disordini, ingiustizie in qualche modo alimentate, quantomeno sopportate e non contrastate debitamente da un ordine di giustizia e di legalità, che purtroppo in troppi territori manca”. 

Sollecitato a parlare della tragedia che ha visto morire tre costruttori di pace, il prelato ha anche sottolineato la necessità di rimettere al centro degli impegni il valore della pace universale, che non è semplicemente l’assenza di guerra, ma l’affermazione della giustizia. “Questo modo di intendere la pace – ha aggiunto – è un valore non soltanto in un tempo come questo in cui si rischia di essere ripiegati su sé stessi, presi dalla tentazione dell’egoismo e dell’autoreferenzialità, ma vale per una cultura come la nostra che purtroppo è troppo chiusa in sé stessa, alla ricerca di un benessere o della soluzione dei propri problemi. Quindi, il messaggio che viene ancora adesso dal Congo è che non si può vivere solo pensando a sé stessi ma bisogna proiettarsi verso gli altri, raccogliendo l’esemplarità di questi testimoni, veri costruttori di pace che invitano ciascuno a farsi carico della responsabilità di esserlo ovunque e in ogni momento. Come?  Aprendo la mente e il cuore al senso di ciò che sta accadendo qui da noi e lontano da noi”.

Oggi e domani e poi nei giorni seguenti, il dramma vissuto dai nostri costruttori di pace in Congo sarà al centro dell’attenzione, mischiato con lacrime e analisi riguardanti la desolazione in cui l’Africa è ancora costretta a vivere.  Poi, come sempre, tutto finirà nell’oblio, in attesa di un nuovo dramma che rimetta al centro l’Africa e i suoi immani problemi.

LUCIANO COSTA

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