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Omaggio alla matita (oltre la guerra)

Che cosa mettere in pagina? Ovviamente, la guerra in Ucraina e i sui macabri contorni (ieri tra gli spiragli di accordo balenati al tavolo della trattiva in iniziata in Turchia son piovute bombe e sono continuate le distruzioni a cui la Russia di Putin ci ha abituato), poi alla politica che langue e si contorce sul fare o bloccare (il Governo Draghi messo alla prova da alleati che s’appigliano a ogni ramo pur di farsi notare e fare rumore), alle giravolte di taluni politicanti (ieri alla corte di Putin oggi non si sa, perché nel domani non trovano certezze) e a tutto ciò che potrebbe trovare lettori o ascoltatori, quindi la cronaca, che più è macabra più gode di popolarità e attenzione. Le notizie non mancano. Ad esempio? Il patto tra Draghi e il sindaco di Napoli Manfredi «per salvare la città» e i quattordici Comuni sciolti per mafia in un anno. Scelte, o le tante solidarietà espresse a favore della popolazione ucraina… Poi, il solito barcamenarsi nel pruriginoso mondo dei se e dei ma. Pagine intere e ore di video dedicate al caso della preside di un liceo romano sotto inchiesta con l’accusa di aver intrattenuto una relazione con uno studente, per altro maggiorenne, che è cosa da non fare. “L’ipotesi del brillante diciannovenne traviato dalla disinibita cinquantenne – ha commentato Umberto Folena –  solletica i gusti più ruvidi dei lettori… La preside nega e grida al complotto dei docenti che la odiano. Gli ispettori indagano. Temiamo sia solo la prima puntata…”.

Tutto ciò premesso, che cosa metto in pagina? Ho deciso, metto la matita, alla quale il mondo intelligente ha dedicato ieri – 30 marzo – una delle sue giornate intelligenti. Sì, ieri era la giornata della matita. Ma il fatto è scivolato via senza commenti e senza attenzioni. Eppure, se ci pensate, qualunque notizia scritta proviene dalla matita, che oggi si chiama computer ma che da sempre è stata la base di ogni segno destinato a diventare racconto e cronaca. Dunque, elogio della matita – bella slanciata elegante morbida utile -, che se la conosci la ami. Però, il dubbio è che la matita, benché esista, resti un oggetto qualsiasi e non l’oggetto da cui discende la scrittura, cioè la prima e più importante forma del comunicare. Allora, grazie all’estro di Marco Stracquadaini, ecco la storia della matita, che “si incrocia con la cronaca di come si fa una matita, come si costruisce”.

Tutto incomincia dalla grafite, che non ha scopritori perché si è scoperta da sola “nel senso del ritrovamento, primo passo dell’invenzione, e nel senso proprio dello scoprirsi, del rendersi visibile”. Dice lo storico che “la grafite è venuta alla luce nel Cumberland, in Inghilterra, in un luogo preciso, Borrowdale, e in un anno che (forse) si conosce con esattezza, il 1565, dopo una terribile tempesta. Fulmini, tuoni, crolli e una provvidenziale fenditura che mette allo scoperto una vena di pietra nera, friabile e lucente, tendente al levigato, che unge e lascia segno di sé in ciò che tocca. Per il momento, anzi, in chi la tocca. Sarà una parente del carbone? È accaduto come per l’ematite: pastori e agricoltori, pescatori, banditi, sfaccendati videro che con un frammento di quella pietra si potevano tracciare linee, segnare una cifra, marchiare una capra o firmare un albero. La differenza non era che nel colore: l’ematite segnava rosso, la grafite nero. Due fratelli italiani, un fratello e una sorella, Simonio e Lyndiana Bernacotti, immaginarono che si potesse rivestire di un bastoncino di legno la stecca di grafite, per non sporcarsi mentre si disegna. Fu l’invenzione essenziale. Poi arrivò la folla dei perfezionatori, ingegnosi francesi inglesi tedeschi statunitensi, dal senso dell’utile più spiccato, a smussare e rifinire l’invenzione”. Come spesso accade, i due fratelli italiani non ebbero ricchezze e onori, che invece toccarono ad altri, più danarosi e scaltri. D’altronde, le invenzioni vanno sperimentate, liberate del maggior numero di difetti. E ciò può avvenire anche nel processo di secoli.

“Alla genialità che ha generato l’invenzione – precisa lo storio della matita – si accompagna spesso, dopo, una curiosa umanissima ottusità che impedisce di sciogliere i nodi più semplici per due o trecento anni. Un solo esempio: quando si inventò la valigia? Quando si pensò di metterle le ruote, invenzione antichissima? A forza di tentativi si vide – lo vide il francese Conté, negli ultimissimi del 700 – che alla grafite in polvere si poteva mescolare argilla in polvere, per temperarne la durezza, per conferirle elasticità una volta reindurita. Vide Conté che questa pasta doveva di nuovo indurirsi, a temperature altissime (800 gradi). Sotto i 3000, la grafite non vuol saperne di sciogliersi e ciò si rivela la sua maggiore qualità. Con il provare i diversi tipi di legname, poi – ginepro, cedro, ontano, pino, tiglio – si è visto che il migliore era quello del cedro, ma naturalmente non si fanno, nel mondo, solo matite «migliori». Chiusa la mina nella stecca di legno, occorreva abbellirne l’aspetto, sagomando, colorando, lucidando, renderlo parlante con qualche scritta…”.

Se siete curiosi, non mancate di leggere la voce «grafite» nell’Enciclopedia Treccani, nella quale la parola «matita» compare alla riga 150, sul totale di 156, è un piacere della mente oltre che un rompicapo. Come dice Marco Stracquadaini” è una voce di vera enciclopedia che rientra in un genere letterario ben codificato, e rilascia piacere e conoscenza come ogni altro genere letterario. Vi si scoprirà che la miniera del Cumberland è tra le più famose ma non la prima. È la prima per le matite. Ma la grafite era conosciuta e usata fin dall’antichità per la resistenza alle alte temperature. Per rivestire l’interno dei forni, dei crogioli. Tutto si oscura e confonde a misura che acuisci la vista. Più vedi una cosa da vicino, meno la vedi. È dura o è morbida la grafite? È opaca o è lucente? Non fonde a 2900 gradi e si sbriciola con la pressione della mano sulla carta?”.

Rendo omaggio alla matita e a tutti i suoi derivati. Infatti, se posso scrivere lo devo a lei e a loro.

LUCIANO COSTA

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