Ultimo giorno dio grida e schiamazzi attorno al voto. A mezzanotte, come da copione, taceranno le trombe, urlerà il silenzio – il cosiddetto silenzio di un giorno messo a conclusione della campagna elettorale per consentire ai chiamati a votare di ricucire le fila dei pensieri accumulati e trarne così ispirazione e convinzione per scegliere, possibilmente il meglio, anche se non è certo esista e possa godere di attenzione – e voleranno per l’aere sussurri invitanti a fidarsi di questo o di quella, oppure appelli per un voto di nobil testa piuttosto che di vil pancia, ma anche sermoni sdolcinati e melliflui rivolti ai dubbiosi silenti e invettive catastrofiche verso chi, proditoriamente, avesse in mente di votare in un modo piuttosto che in un altro…. Mi astengo dal dare un volto alle tendenze. In compenso so chi non voterò e anche a chi voterò. Non darò il mio voto ai cialtroni, ai venditori di fumo, agli inventori di promesse, ai procacciatori di consensi, ai bugiardi matricolati, ai politicanti ballerini, alle comparse plaudenti, agli attori prezzolati, ai comici da strapazzo, ai furfanti in libera uscita, agli eterni ritornanti (genere che sopravvive a qualsiasi temporale), ai cacciaballe e a nessuno che assomigli anche solo vagamente a quel tal antenato che per stupire il reame scambiò l’intelletto e la ragione con clava e manganelli… Invece, darò il mio voto agli opposti di chi ho appena citato, che sono certo esistano sebbene niun (comunque pochi) sappia di preciso dove alberghino, di quale pasta siano fatti e di quali ideali e valori siano portatori. Però, ripeto, so che ci sono e che meritano attenzione. Si tratta di usare quel che resta del tempo per identificarli (cosa di non poco conto) e quindi decidere di votarli.
“Ma io – mi ha detto ieri uno del circolo dei brontoloni -, salvo illuminazioni improvvise e provvidenziali, non andrò a votare”. Gli ho risposto che solo gli struzzi nascondono la testa sotto la sabbia per non vedere la tempesta che si avvicina e che solo i pavidi brontoloni per gioco, per interesse o per mestiere fuggono dal voto consentendo allegramente ad altri di scegliere per loro. Il brontolone ha brontolato. Poi, con un sussulto degno del miglior filosofo, mi ha aggredito dicendo che “per votare ci vuole un minimo di speranza, quella che l’attuale politica mi ha strappato e che impunemente ha strapazzato con promesse campate in aria, litigi continui, voltafaccia sfrontati, menzogne, insulti quasi da trivio, elettori trattati come imbecilli…”. Gli ho proposto di considerare la somma di bugie e promesse fin qui ascoltate come fossero frutto di una campagna elettorale malata. “Pur volendomi il naso, non saprei chi votare”, questo e solo questo mi ha risposto. Ho allora pensato a quel che Dante aveva messo nella sua “Divina commedia”, vale a dire quel verso amaro e tragico che diceva “ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello” a cui ho dato credito, ma ancora superabile e cancellabile se e come alla rabbia e al disimpegno si sostituiscano valori e ideali orientati al bene comune piuttosto che al tornaconto di qualcuno.
Certo, so bene che sono tanti i motivi di insoddisfazione e di lontananza dall’attuale offerta politica, che nessuno o pochissimi convince pienamente. So anche che mesi di campagna elettorale sono serviti soltanto a ingarbugliare le carte, che le parole pronunciate si sono dissolte come neve al sole, che nessuno dei problemi dominanti – crisi finanziaria, pandemia, guerra, lavoro, pace, terra, salute, povertà, disuguaglianze… – ha trovato risposte adeguate e soprattutto sincere. Però, so anche che per costruire futuro è necessario osare. “Osare la speranza” dicono i vescovi (il loro messaggio era in pagina ieri); osare di andare oltre le baruffe esprimendo un voto responsabile, orientato al bene comune, da dare con coraggio, senza timore e senza turarsi il naso, dico io. Insomma, vorrei che il voto mi restituisse un Paese consapevole, accogliente e solidale.
È ancora possibile?
Credo di sì.