Le storie buone bisogna cercarle tra le righe, quelle cattive invece emergono dalle righe e impongono la loro presenza… Come diceva il vecchio direttore, un cane che morde un qualsiasi passante non fa notizia, ma un qualsiasi passante che morde il cane, quella sì è una notizia da mettere in pagina. Quindi, se cerchi cattiverie guarda la prima pagina, se cerchi bontà vai all’ultima o alla penultima. Così, si giornali e nei telegiornali o radiogiornali, ecco nel dettaglio la guerra e le guerre, come riempitivo l’invocazione della pace, come aggiunta le lotte politiche, come divagazione la cronaca più nera e come conclusione spettacoli, pettegolezzi e sport in tale e tanta abbondanza da far credere che, nonostante tutto, si vive felici e contenti… Invece, si sa, felicità e contentezza abitano altrove. Però, cercando e frugando qualcosa di buono lo si trova.
Ieri, per esempio, ho scoperto che la storia dei tappi di plastica che se raccolti diventano pane e vita per tanti disperati è vera, verissima. Infatti, se raccolti e venduti, come ha fatto don Bruno, parroco in un paesino in provincia di Palermo, servono a finanziare iniziative benefiche per persone fragili, povere, in condizioni di difficoltà, vicine o lontane poco importa. Grazie ai tappi don Bruno ha dato il via a una serie di iniziative che da Palermo sono arrivate nel Sud Sudan, dove è più facile morire di fame che sedersi a tavola, dove il sapere è lontano e l’ignoranza vicina, dove le malattie non trovano ostacoli e dove la vita è un optional e mai un diritto. Ora laggiù, grazie a centinaia di amici, è fiorita la speranza, fatta di tappi di plastica, ma solida e vera. Dice la cronaca che “tutte le famiglie di Villaciambra, il paese in provincia di Palermo da dove è partita l’iniziativa, e anche quelle dei dintorni sono diventate zelanti “accumulatrici” di tappi. Li mettono da parte, coinvolgono i figli, anche i più piccoli, e una volta riempiti i sacchetti li portano all’oratorio. Da qui, i tappi vanno nelle fabbriche che li riciclano pagando il dovuto: poco ma sufficiente a dare concretezza alla solidarietà: oggi in Sudan, domani in Ucraina o dove la guerra sta distruggendo la speranza, oppure in Iran dovei giovani stanno pagando con la vita la loro voglia di libertà, o in Perù, nello Yemen, in Medio Oriente, ovunque vi siano mani che implorano aiuto… “Questi – ha raccontato una delle protagoniste dell’iniziativa – sono tappi che non chiudono ma aprono nuove possibilità, che rinsaldano legami, connessioni, perché nessuno si salva da solo e solo uniti possiamo fare la differenza. La raccolta dei tappi come segno di redenzione e di sviluppo…”. Provare per credere: una tonnellata di tappi di plastica viene quotata dai 150 ai 200 euro. Una tonnellata di tappi corrisponde a più di 400 mila tappi di plastica. L’oratorio di Villaciambra ha raccolto 11 tonnellate di tappi… Che tradotti in moneta (un chilo di tappi è valutato tra i 15 e i 18 centesimi) fanno un bel gruzzolo. Che sarebbe ancora più consistente se la pratica della raccolta fosse diffusa…
Sempre ieri, ho letto del regalo inatteso fatto a una donna-lavoratrice dalla stessa Azienda che l’aveva momentaneamente in carica come dipendete a tempo determinato: per Natale l’azienda le ha assicurato un contratto a tempo indeterminato. Direte: è normale. Vero. Ma in questo caso è straordinario. Infatti, la donna assunta a tempo indeterminato è mamma per la terza volta. Lei si chiama Lorena Piras e abita a Macomer; l’azienda che le ha fatto il regalo più bello e atteso si chiama Sardafuoco e si occupa di manutenzione e vendita di impianti a legna e pellet. La vicenda fa notizia in un momento in cui, purtroppo, la gravidanza resta ancora un fattore che mette a rischio il lavoro per le donne: “Spero che quello che è successo a me serva per aprire altre porte, che imprenditori e donne nella mia condizione si incontrino in questo modo superando i pregiudizi verso le donne che fanno figli, ma so bene purtroppo di essere una mosca bianca…”.
E’ invece dell’altro ieri la notizia della morte di un buono, tale Biagio, che un giorno lontano scelse di abbandonare il facile e di sposare il difficile: era ricco di famiglia, scelse di farsi povero tra i poveri diventando fratello, uomo di carità e di speranza. L’altro ieri è morto, ma i suoi poveri hanno subito detto che i buoni non muoiono mai. Maurizio Patriciello ha scritto che “fratel Biagio è vivo, più vivo che mai e ha ancora “un volto pulito, incorniciato da una barba incolta che gli dà l’aspetto di un antico patriarca; un sorriso largo, sereno, leggero. E degli occhi stupendamente verdi, belli come sono belli quelli degli angeli”. Si chiamava Biagio e per tutti era fratel Biagio. Era lì per ricordare a me, alla Chiesa, al mondo, che “l’amore vero non conosce le mezze misure”. Lui, povero tra i poveri, non aveva paura di niente; lui non si fermava nemmeno davanti all’evidenza, quella che annovera milioni di persone che muoiono di fame; lui voleva sfamarle tutte, ma non potendo arrivare ovunque ha dato da mangiare ai poveri di Palermo, poveri di pane ai quali si aggiunsero i poveri di cuore, i poveri di spirito, i poveri di vita; lui non si è scagliato con rabbia contro i rapinatori dei forni altrui, invece li hai cercati, trovati, aiutati a non perdere la speranza, la dignità, la fede. “Sei stato, Biagio, un calcio negli stinchi per tanti tiepidi come me”.
Due storie buone… Poi due storie cattive. Di queste storie cattive, una racconta come la comunità cristiana di Douna, cittadina del martoriato Mali, sia minacciata dai jihadisti. Ragion per cui, qui e adesso, in una delle realtà dove numerosi membri della rete di al- Qaeda e del Daesh cercano di mettere radici, “è ormai proibito battere le campane, suonare strumenti musicali e pregare nelle chiese – ha detto il vescovo di quei luoghi -. Quello che ancora più inquietante è che i jihadisti chiedono ai cristiani di praticare la religione musulmana». L’ondata dell’estremismo islamico si sta espandendo a macchia d’olio, dopo i Paesi del Sahel come Mali, Niger e Burkina, ora anche i Paesi costieri come Togo, Benin e Costa d’Avorio sono nel mirino.
L’altra storia cattiva riguarda i bambini che vivono nei 15 Paesi più colpiti da una crisi alimentare e nutrizionale senza precedenti. A chiedere un intervento rapido in Afghanistan, Burkina Faso, Ciad, Etiopia, Haiti, Kenya, Madagascar, Mali, Niger, Nigeria, Repubblica del Congo, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Yemen sono le agenzie delle Nazioni Unite. Attualmente, in questi 15 Paesi, piu’ di 30 milioni di bambini soffrono di consunzione, 8 milioni sono colpiti da grave deperimento. Si tratta, secondo le agenzie Onu, di una grave minaccia per la vita dei bambini e per la loro salute e il loro sviluppo a lungo termine, con ripercussioni che si fanno sentire anche nelle loro comunità. Per fare i conti con questa difficile questa situazione cinque agenzie delle Nazioni Unite. l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, l’Organizzazione mondiale della sanità, il Programma alimentare mondiale e il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, chiedono di accelerare i progressi sul Piano d’azione globale con lo scopo di prevenire, rilevare e curare la malnutrizione acuta nella popolazione infantile dei Paesi più colpiti.
Per farlo servono aiuti al posto delle guerre e pace al posto di armi di distruzione e morte…
LUCIANO COSTA